Presentiamo - sia pure in ritardo - un articolo di Peppe Russo (Trapani) scritto la scorsa estate ed andato disguidato. L'argomento trattato: gli esami di maturità anni 60/70 (ancora oggi un incubo per chi scrive e riteniamo per tutti i "ragazzi" degli anni '40: scommetto che anche voi vi riconoscete in quanto Peppe scrive......

 

 

Puntuale, intrigante, invadente, in questo periodo si presenta per quasi mezzo milione di studenti l’incubo esami.

Crisi di identità, denunce di amnesie totali, notti passate a studiare i sacri testi, etc.

Anch’io regolarmente in questo periodo sono assalito dagli incubi; basta parlare di esami di stato che la mia mente si collega a un lontano mese di luglio. Un luglio in cui avrei dovuto salutare definitivamente la scuola per iniziare un nuovo cammino, una nuova vita. Teniamo presente che anche allora era un periodo di crisi profonda che poi fortunatamente sfociò nel boom degli anni ’60 (quindi coraggio giovani! la storia, sappiamo, si ripete, arriveranno tempi migliori).

Ma torniamo al mio disagio quando sento parlare di esami di maturità. Esaurito il primo giorno di esami, mi preparo per la prova di matematica, prova da sempre assegnata agli studenti del Liceo Scientifico, ringalluzzito anche dal fatto che nel corso della settimana precedente ero riuscito a risolvere un problema che altri miei colleghi avevano lasciato a metà.

La mattina del secondo giorno mi presento assieme ai miei compagni, occupo il mio posto, attendo che ci dettino il testo del problema e inizio la discussione dello stesso, penso che tutto vada liscio, le paure sono andate via e la soluzione del problema è a portata delle mie conoscenze. Ma ecco il gradino di cui non ti accorgi e ci inciampi andando poi a cadere per il sollazzo di tutti i presenti. La prima operazione da fare è un emme per emme il cui risultato è, ed è sempre stato, emme al quadrato (lo sanno tutti e lo sapevo pure io), ma io che ti metto nero su bianco sulla carta? Un bellissimo 2m, e da lì continuo il mio lavoro. Finisco il tutto, consegno ed esco. Fatti due passi i presenti mi vedono sbattere la testa contro una porta.

Stavo mentalmente ricostruendo il lavoro svolto e mi accorgo della   m…………   fatta, prendo coscienza dell’enorme errore in cui maldestramente ero caduto e cerco di ……………………..

Da allora, quando si parla di esami di stato, mi viene la voglia di sbattere la testa.  E’ un incubo che non mi ha mai abbandonato, anche adesso a settantaquattro anni suonati. Ho cercato di liberarmene, ma senza successo. Chissà che averlo portato a conoscenza di estranei possa guarirmi. Essermi confidato con amici e parenti non ha dato alcun risultato positivo.

Ed infine non bisogna trascurare cosa avranno pensato di me i commissari d’esame e, ancora più grave, degli insegnanti che mi avevano accompagnato sino a quella soglia.

Con l’occasione in bocca al lupo a tutti i maturandi

Peppe Russo 21 giugno 2012

 

 

           

 

 

 

 

 

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