Il
quadro è piuttosto demoralizzante, in quanto
si assiste ad un calo sempre maggiore di
partecipazione alle attività di volontariato
tra i giovani di età compresa tra 15 e
35 anni, mentre l'impegno degli over 65
risulta invariato.
Non so se ovunque sia così o se il fenomeno
sia a macchia di leopardo, certo è che il
problema
esiste e che in buona misura è questione di
mentalità, di valori o meglio di disvalori
quali: egoismo, eccesso di competitività,
rifiuto o disinteresse per l'altro.
A mio avviso, le ragioni che hanno provocato
tale discesa sono diverse: un fattore
psicologico che porta al timore che le
modalità classiche del volontariato
(l'impegno per poche ore la settimana)
possano modificare le proprie abitudini;
l'affermarsi di un clima culturale
individualista che è. per natura, nemica
del volontariato e che va a svalutare ciò
che fino a ieri era intoccabile come
l'affettività, le relazioni interpersonali e
il dialogo.
Oggi il volontariato è reso possibile grazie
al ricco passato che è nella memoria di
tutti, a quelle radici religiose,
ideologiche e culturali da cui proviene e
attinge forza per organizzarsi in modo
sempre più qualificato ed ampio.
Il volontariato è una scuola di vita
in senso alto, perché porta alla
partecipazione di ciò che succede attorno;
è una scuola di umiltà perché fa
capire di essere solo un mattoncino nella
storia.
Per questo, in linea teorica, il modello
migliore di società sarebbe quello in cui
tutti possano fare un'esperienza di
educazione al volontariato negli anni
giovanili, per poi prendere ognuno la
propria strada nei vari mestieri e
professioni.
Occorre, dunque, riflettere un po' di più
sul tempo in cui viviamo, che è così
pervaso dalla "globalizzazione" che le
dimensioni della vita ne sono
inevitabilmente condizionate .
Nella società attuale, per promuovere il
volontariato non è solo la cultura del
donare che va incentivata, ma anche
quella del ricevere con umiltà. E'
fondamentale, però, che non manchi la
disponibilità al cambiamento.
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