Provaci ancora sud....!
Di Paolo Pirulli
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Nel
Meridione vi sono gravi carenze per l'energia, per le
comunicazioni stradali e ferroviarie, per le reti
informatiche e di telecomunicazione, per i centri di
ricerca. Il problema principale è quello di cercare e
trovare nuove modalità d'investimenti, modalità che
accrescano la partecipazione dei privati sia per
garantire una valida gestione economica sia per ridurre
gli oneri pubblici.
Grande importanza acquista anche il discorso relativo al
sistema bancario meridionale che, pur afflitto da
momenti di grande crisi, deve riprendere il ruolo che
gli compete e che ne fa una componente importante per lo
sviluppo del Sud. È molto difficile che senza banche
forti e moderne le tante piccole imprese che nascono nel
Mezzogiorno possano trovare un sostegno per la crescita,
per l'apertura della strada verso il mercato
internazionale, per l'evoluzione tecnologica ed
economica. Certamente non sono meno importanti, poi, le
condizioni del mercato del lavoro, i costi e soprattutto
la tranquillità sociale che l'ambiente è in grado di
offrire. Resta il problema cruciale: quello di puntare
su di un irrobustimento del sistema produttivo. Il Sud
ha necessità di investimenti, provenienti magari dal
mercato internazionale.
"Nessun'altra regione come la Puglia è un sud sempre lì
lì per farcela ... eppure c'è sempre qualcosa che fa
tornare Sud la Puglia" (Lino Patruno).
E necessario che gli amministratori del Mezzogiorno
partecipino direttamente alla creazione ed alla gestione
di organismi consortili dotati di effet-tivi poteri: una
specie di sportello unico in grado di offrire al
potenziale investitore rapidità e certezza nelle
decisioni, evitando una Via Crucis tra le varie sedi
politico-amministrative.
Ma a monte di tutto è necessario rintracciare le ragioni
e le convenienze che legano il Nord ed il Sud, capire
che senza lo sviluppo del Meridione anche il Nord sarà
ostacolato e frenato verso l'Europa.
Comunque, qualsiasi moderna politica di sviluppo deve
tener conto dei profondi cambiamenti che la
globalizzazione delle economie sta provocando
nell'operare degli Stati in campo economico, nel
pre-dominio delle logiche di mercato anche in quei
settori che finora non erano esposti alla concorrenza e
perfino nell'operatività della Pubblica Amministrazione.
L'obiettivo è quello di far sentire al Mezzogiorno la
solidarietà attiva del resto dell'Italia. Non ci sono
dubbi: la spinta e lo sforzo per il rilancio della
questione meridionale spettano soprattutto ai
meridionali, alle forze locali.
Le esigenze del Sud vanno certamente col-locate in una
nuova politica nazionale, ma la classe dirigente
meridionale, soprattutto quella della "società civile"
non legata ai partiti, deve trovare il coraggio e la
capacità di essere coprotagonista attiva del rilancio
del Mezzogiorno.
Occorre uno Stato che costruisca infrastrutture ed usi
in maniera adeguata la politica tributaria. Occorrono
imprenditori - anche non del Sud - che abbiano il
coraggio di investire, banche che finanzino veri
progetti e non utopie, giovani che intraprendano
attività in proprio oppure in cooperative.
Bisogna facilitare al Mezzogiorno l'avvio di un rilancio
autonomo riferito a tutti i settori dell'attività
economica: l'industria, l'agricoltura, i servizi ed il
turismo.
L'integrazione del Mezzogiorno deve avve-nire
valorizzando le risorse locali, non utilizzando
artificiosamente modelli calati da altre realtà.
"Il Sud deve avvicinarsi ai livelli del Nord, e non il
contrario; deve dimostrare di essere un'opportunità, una
fonte di reddito per tutto il Paese, e non solo un
costo; spostando fuori del Mezzogiorno le cause della
situazione, si sottovalutano i vincoli che vengono
dall'interno stesso del Sud e dal suo contesto sociale
ed economico" (C. Triglia).
Più di quarantanni di politica meridionalistica non sono
stati sufficienti per far decollare il Meridione, anzi
l'impressione è che esso rischia di rimanere
pericolosamente staccato dal Nord.
Un solo dato statistico può fotografare la situazione:
nel 1950, subito dopo la fine della guerra, il reddito
pro-capite del Mezzogiorno era pari al 54% di quello del
Centro-Nord; nel 1995, quasi mezzo secolo dopo, era pari
al 56%.
Mezzo secolo e migliaia di miliardi per un 2% in più non
è forse un clamoroso fallimento? Non si deve
dimenticare, però, che il Mezzogiorno ha tenuto il passo
con l'Italia Settentrionale, una delle aree creciute
maggiormente nel mondo. Ma la crescita del reddito nel
Mezzogiorno non ha significato sviluppo, se per sviluppo
intendiamo capacità di produzione endogena e maggiore
industrializzazione. La situa-zione meridionale si può
definire: Sviluppo senza autonomia.
La storia recente del Sud dimostra che se non si cercano
gli effetti speciali, se si da il tempo di crescere, se
si ha pazienza, che non significa antica rassegnazione
contadina, si costruisce qualcosa di solido.
"Dove non si è fatto conto degli incentivi, dove sono
cambiati anche la mentalità, abitudini, vizi, il Sud non
è stato più Sud" (Lino Patruno).
Il primo dei tornanti decisivi che in particolare la
classe politica e quella imprenditoriale del Meridione
devono impegnarsi a superare è: rinunciare
all'occupazione ed alla gestione del potere per avviarsi
alla costituzione di un grande progetto di risorgimento
economico, politico e culturale.
Un progetto che, pur partendo dal Meridione, sappia
coinvolgere l'intero Paese non solo a livello politico
ed economico, ma soprattutto a livello psicologico e
culturale. Un progetto di ricostruzione morale e
materiale che impegni le risorse, le energie, gli sforzi
di tutti coloro che hanno consapevolezza della necessità
di superare, in tempi ragionevoli, la frattura che
oppone il Centro-Nord ricco e vitale al Sud povero ed
arretrato.
Ma soprattutto i meridionali, anche attraverso il
progetto, devono riuscire a convincere il resto del
Paese della loro volontà di liberarsi della condizione
di subalternità nella quale decenni di politiche
assistenzialistiche li hanno calati. Se la classe
politica e quella imprenditoriale volessero, il
Meridione potrebbe diventare, nell'arco di pochi anni,
un gigantesco "laboratorio all'aperto", attraverso il
quale riprendere la trama di un'unità mai portata a
compimento. Un laboratorio, una fucina che combini
insieme, ricostruzione economica e culturale,
contribuendo al rafforzamento di quel senso di
appartenenza nazionale messa in discussione da miopi
egoismi localistici e tribali.
Provaci ancora Sud ... il futuro è il domani, le idee,
le ipotesi, è la consapevolezza del vento nuovo che deve
spirare e che deve aprire prospettive concrete per il
decollo economico di tutto il Meridione, è l'impegno
occorrente per le difficoltà del compito.
Provaci ancora Sud ... uno sforzo collettivo perché lo
sviluppo economico è un fenomeno collettivo.
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