MUTUI
SUBPRIME - di Mimmo Lopez
SECONDA PARTE (da NUOVA REALTA' n.ro 7 del marzo 2008
Nel
precedente articolo dicevamo che definire "subprime" una
fascia della clientela, significa rico-noscere, a monte,
l'alta potenzialità di insolvenza che la caratterizza.
Può apparire quindi "strano" che banche e finanziarie
siano state così sprovvedute da erogare mutui a
clientela con dette peculiarità, soprattutto se pensiamo
al mercato italiano del credito.
Negli ultimi anni, l'alto valore degli immobili, il
basso costo del denaro e la copiosa liquidità da
impiegare al miglior rendimento possibile, hanno indotto
gli operatori del credito ad erogare prestiti (mutui in
primis), anche a clienti non primari, igno-rando (o
facendo finta di ignorare) le "norme" che presiedono
alla corretta valutazione del rischio.
Di fatto i finanziatori,
concedendo mutui sub-prime, ottenevano:
a) profitti più alti (i clienti sub-prime
pagavano commissioni più alte perché a maggior rischio),
b) maggiori garanzie per il costante aumento del
valore degli immobili ipotecati,
c) notevole riduzione del rischio d'impresa
perché lo stesso veniva spalmato sul mercato attraverso
le cartolarizzazioni dei mutui concessi. Ecco allora che
non di stranezza si deve parlare, ma di modus operandi
di banche e finanziarie
che, approfittando della concomitante presenza dei
fattori sopra menzionati, hanno mirato a realizzare i
maggiori profitti possibili non curandosi delle
probabili ripercussioni negative che il mercato
finanziario, inondato da prodotti ad alto rischio,
avrebbe potuto subire.
Mercato (o meglio
parte di esso), peraltro, che continuava ad
acquistare titoli derivati dai mutui subprime, atteso
che garantivano redditi più alti della media e il
potenziale rischio non emergeva per 11 concomitante
basso tasso d'interesse e l'alto valore degli immobili
ipotecati. La percezione del rischio era svanita nella
convinzione che si erano create le condizioni per
investire in prodotti ad alto rendimento senza correre
rischi di rilievo.
Praticamente una chimera. Infatti, perché una parte
consistente del mercato finanziario globale (mercato
italiano in testa) ha comprato prodotti della specie in
misura marginale o non ha comprato nulla?
I mercati, di qualsivoglia genere e natura, non marciano
in eterno nella stessa direzione. E infatti,
puntualmente, i tassi, in costante discesa dal
2001, hanno invertito la rotta ricominciando a
crescere ininterrottamente dal 2004 (cfr grafico dei Fed
Fund: tasso interbancario - Fed) e il mercato
immobiliare, altrettanto puntualmente, ha
rallentato la sua corsa al rialzo.
Risultato: la potenziale insolvenza della clientela
subprime è emersa!
Quanto sin qui detto spiega il problema ma non anche le
cifre del problema. I dati ufficiali, ci riferiamo
sempre al mercato statunitense, affermano che i mutui
subprime, a fine 2006, rappresentavano il 13,50% del
mercato di tutti i mutui. Certo situazione difficile, ma
non così rilevante da indurre, oggi, tutti "gli addetti
ai lavori" ad usare la parola "crisi".
Riprendiamo la piramide rovesciata. Avevamo detto (cfr.
1° articolo nel numero di dicembre 2007) che il
rischio insito dei mutui subprime si ampliava, per
numero ed importi, con l'emissione delle ABS e diventava
ancora più grande con la creazione dei CDO (il tutto
poi finito nei portafogli degli investitori
istituzionali di mezzo mondo).
Il mancato pagamento delle rate ha determinato quindi
il crollo del valore delle obbligazioni strutturate
(da rimborsare con le rate dei mutui subprime) e degli
altri derivati legati a detta tipologia di obbligazioni.
Il problema, quindi, non è circoscritto al mercato
finanziario statunitense ma si è "globalizzato" e
l'insolvenza non si limita a quel limite massimo del
13,50% ma coinvolge ABS e CTO per importi ben più
consistenti.
Il "problema" si è trasformato in "crisi".
Tutta "colpa" del Sig. Smith di Atlanta che aveva
chiesto (ed ottenuto) un mutuo senza avere le capacità
di rimborsarlo? Riteniamo di no; possiamo solo
rimproverarlo per non aver dato ascolto a quel vecchio
adagio che suggerisce di non fare il passo più lungo
della gamba. Se vogliamo, è vittima anch'esso; le mutate
condizioni del mercati (monetario e immobiliare) non gli
consentono più di pagare le rate e quindi si vede portar
via la casa ipotecata.
Sicuramente non possiamo rimproverarlo e tanto meno
incolparlo del fatto che un derivato, costruito sul suo
mutuo, ha provocato una crisi
finanziaria così estesa. Poveretto! Se qualcuno cercasse
di spiegarglielo chiamerebbe la polizia temen-do di
trovarsi di fronte un pazzo furioso!
Le colpe, senza
virgolette, sia pure in misura diversa, vanno attribuite
a quella parte di operatori, alias finanziatori,
che, sfruttando le condizioni di mercato hanno concesso
mutui "a cuor leggero"; a quella parte di operatori,
alias finanzieri, che hanno usato strumenti, i
derivati, in modo "improprio"; a quella parte di
operatori, alias top manager, che per proprio
tornaconto (maggiori utili societari significano
maggiori stipendi) hanno sottovalutato i grossi rischi
che le società da loro guidate correvano nell'investire
ingenti capitali in strumenti ad alto rendimento, ma
perciò stesso ad altissimo rischio; a quella parte di
operatori, alias agenzie di rating, che hanno,
con poca cautela, attribuito valutazioni troppo alte
anche a prodotti non proprio trasparenti e a Società
emittenti di dubbia solvibilità; a quella parte di
operatori, alias Autorità di Vigilanza, che non
hanno visto, chiudendo un occhio o forse tutti e due,
ovvero non hanno potuto intervenire perchè prive di
adeguati strumenti per carenze legislative.
Al manifestarsi dei sintomi della crisi dei mutui
subprime (estate 2007), il
mercato del credito ha reagito
immediatamente attuando una restrizione del credito
(credit crunch).
I clienti {investitori
istituzionali) non hanno più ottenuto il
rinnovo delle consistenti linee di credito con le quali
precedentemente operavano ovvero hanno dovuto accettare
un drastico ridimensionamento delle stesse.
Le banche hanno
ridotto il credito interbancario e aumentato il prezzo
dello stesso, tanto da determinare l'anomala situazione
di tassi interbancari ben al di sopra dei tassi di
riferimento delle banche centrali.
In sostanza non vi era più fiducia anche tra le
banche perché non si conosceva né l'entità delle
esposizioni, né quali aziende, bancarie e non, fossero
esposte sul fronte dei mutui subprime (e derivati).
Le banche centrali,
per evitare la paralisi del credito, che avrebbe colpito
non solo "l'allegra compagnia" dei subprime ma anche
l'intero mercato, sono intervenute effettuando
consistenti operazioni di finanziamento interbancario e
modificando le strategie di politica monetaria che
avrebbero consigliato un aumento dei tassi di
rife-rimento, per contenere un'inflazione che mostrava
(e mostra) segnali di ripresa; tassi che, invece, sono
stati ridotti (Fed e Banca d'Inghilterra) o quanto meno
tenuti stabili (Bce). Inoltre, cosa mai accaduta prima,
cinque tra le più grandi Banche centrali (Fed, Bce,
Banca d'Inghilterra, Banca Nazionale Svizzera, Banca del
Canada) hanno deciso di coordinare i loro interventi
per ridare fiducia ai mercati finanziari ancora scossi
dalla crisi dei mutui subprime.
Certo, passo fondamentale, ma diventerebbe decisivo se
anche le cosiddette Authority (la Vigilanza nella
fattispecie) dei mercati finanziari di tutto il mondo si
decidessero a fare una seria opera di prevenzione.
Significative, in merito, le dichiarazioni rilasciate
non appena la bolla dei subprime è scoppiata.
Si è gridato, da più parti, alla sorpresa clamorosa,
all'inaspettato, al mai successo prima. Tutto vero, ma
sino ad un certo punto.
Mario Draghi (e non solo lui), attuale Governatore della
Banca d'Italia, un paio di anni fa circa, aveva lanciato
un monito sulla pericolosità del mercato subprime.
Quelli che oggi si stupiscono dell'accaduto leggevano
"Topolino" piuttosto che pareri ed analisi dei maggior
esperti dei mercati monetari e finanziari?
In Italia l'effetto mutui subprime è stato di scarso
rilievo.
Una volta tanto l'accusa, spesso e da più parti, rivolta
alle banche italiane di erogare credito col bilancino
del farmacista e di essere poco "aggressive" in campo
finanziario, si è trasformata in plauso.
Certo il credit crunch ha influenzato anche il
mercato finanziario italiano determinando l'anomalo
andamento del tasso di riferimento per i mutui a tasso
variabile (Euribor). Ciò spiega il gran parlare (e
spesso sparlare) della crisi delle famiglie mutuatane
che non riescono più a pagare le rate dei mutui (a tasso
variabile).
C'è tuttavia da chiedersi: se tutti i giornali (anche i
generalisti) negli anni 2004/2005 riportavano che i
tassi variabili non erano mai stati così bassi, era
difficile prevedere una loro crescita?
Indubbiamente la crisi dei subprime e la conseguente
restrizione del credito ha accelerato il rialzo dei
tassi ma non ha determinato lo stesso che comunque
ci sarebbe stato. A tutt'oggi (12/2007) l'effetto degli
interventi delle Banche Centrali sembrano dare esiti
positivi, ma è ancora presto per avere un quadro
d'insieme meno nebuloso.
Ci vorrà ancora del tempo per superare l'attuale
crisi finanziaria, dicono gli esperti, un anno forse
due; noi, che esperti non siamo, preferiamo riferirci al
grande Eduardo De Filippo e dire:" passerà la nottata "
come, peraltro, sono passate nottate ben più buie di
questa!
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