DALLE MURGE ALLE ANDE
Di Gino Langiulli

Da DIGNITA' (ora NUOVA REALTA')
Notiziario dell'Ass. Bancari Cassa di Risparmio di Puglia - n. 2 aprile-giugno 2006)

" Sedici ore di volo e poi sarò in Perù!" pensai, e soltanto in quel momento divenni veramente consapevole di quello che stavo per vivere: un viaggio nelle Missioni dei Padri Agostiniani sulle Ande, nella regione montuosa dell' Apurìmac, in Perù.
Una forte emozione mi pervase e non nascondo di aver provato anche un po' di paura.
Per recuperare un minimo di serenità pensai alle parole di un mio caro amico che, qualche giorno prima della partenza, mi aveva raccomandato di essere attento e prudente in quei luoghi lontani e sconosciuti; di riguardarmi perché lì avrei trovato freddo e piogge, essendo ancora inverno; di "controllare i miei sentimenti" per non farmi prendere dallo scoramento o dall'euforia del momento.
Durante il lento trascorrere delle ore di volo ritornavano insistentemente nella mente i motivi che mi avevano spinto ad intraprendere quell'avventura: realizzare il mio sogno, nascosto "nel cassetto del cuore", di dedicare parte del mio tempo ai più poveri e diseredati, sperimentando nel concreto un periodo di vita missionaria; di ritrovarmi in qualcosa che avrebbe potuto e dovuto dare un senso nuovo e vero alla mia vita che, per vissuti molto dolorosi, rischiava di smarrirsi in rimpianti e solitudine.
L'aereo atterrò a Lima alle 5,45 del mattino. Willy, l'autista tutto fare degli Agostiniani, mi attendeva in aeroporto per condurmi nel convento di quella immensa e tentacolare città tipicamente sudamericana (7 milioni di abitanti; un centro piuttosto moderno e di stile occidentale, con un lungomare sul Pacifico di una bellezza struggente; un centro storico spagnoleggiante, ricco di chiese e palazzi grondanti fregi e ricami simili al nostro barocco leccese; una periferia costituita da un agglomerato di "favelas" sterminato e brulicante di gente).
Due giorni a Lima per una breve visita della città e poi ancora in volo per 3 ore, per raggiungere Cuzco, l'antica capitale degli Incas, a 3400 metri di altezza, sulle Ande.
Anche qui alcuni giorni di permanenza per acclimatarmi e per una fugace visita della città (4 milioni di abitanti; una architettura che manifesta chiara-mente il suo antico splendore di capitale imperiale; il monumento ad Athanualpa, l'ultimo imperatore degli Incas, ucciso da Pizarro nel 1533; l'Avenida Sol con il "Tempio del Sol"; il monumento al condor simbolo della libertà del "Perù glorioso"; le antiche mura incaiche con incastonata la "Pietra dei 12 angoli"; il Cristo Bianco, simile a quello di Rio de Janeiro, che domina la città dalla collina più alta).
Poi, a bordo di un fuoristrada 4x4, in compagnia di due Padri missionari, con un bagaglio molto pesante perché pieno di carità, di attese, di emozione e di .. .non poche paure, via sulle Ande per strade sempre sterrate ed impervie tra profonde vallate (dove è facile incontrare lama, alpaca e vigogne in cerca di magri pascoli) e cime innevate per raggiungere i paesi ed i villaggi (tutti situati a 3000-4000 m. di altezza), dove vivono e operano i missionari.
Chuquibambilla, Cotabamba, Turpay,Tambobamba, Antabamba, Progresso, Oropesa, Mamara, Abancay: questi i nomi quasi impronunciabili di quei paesini fatti di strade polverose, di casette di fango e paglia in cui si vive in 6-7 persone e dove si cucina, si mangia, si dorme, insomma...si fa tutto in una promiscuità sconvolgente.
Al centro di ogni paesino, però, c'è sempre una chiesa, spesso costruita dai colonizzatori spagnoli nel 1600-1700, oppure una cappella con le pareti di mattoni di fango e paglia, il tetto di lamiera ondulata ed il pavimento in terra battuta.
Ovunque c'è una grande devozione al Crocifisso, ornato con bellissimi drappi e corone di fiori dai vividi colori di quella terra stupenda. Grande è anche la venerazione per la Madonna, sempre raffigurata da statue coperte da ricche vesti intensamente colorate e piene di preziosi ricami.
Dappertutto tanta povertà di una crudezza quasi sfacciata!
Ma anche tanti bambini, bellissimi, con la pelle scurita dal sole e due occhi neri che ti osservano quasi sempre allegri e curiosi e, qualche volta, timidi e persi in chissà quale sguardo. I loro vestiti sono variopinti, con maglie e magliette sovrapposte come cipolle; caratteristici i cappellini di panno ornati di nastrini colorati e fiorellini di campo.
Sulla soglia delle misere casette, sovente, ci si imbatte in donne sedute a filare una lana dai colori intensi, tutte piccole di statura e quasi rattrappite, con i volti fortemente segnati dalla durezza della loro vita al punto da sembrare tutte anziane.
Pochi gli uomini che è dato incontrare per strada perché la maggior parte di essi è nei campi a combattere con la terra, arrampicati sui pendii dei monti come hanno sempre fatto i loro antenati da secoli, senza cambiamenti, per produrre appena il necessario per sopravvivere.
Ma, peregrinando per l'Apurìmac, si colgono anche i primi segni di un grande risveglio. La secolare vita di sopravvivenza di quel popolo si sta affacciando ad alcune conquiste del nostro tempo.
La corrente elettrica sta raggiungendo molti paesini e villaggi della "puna"(montagna) e con essa arrivano anche il telefono, la televisione e persino Internet. Nei paesi più grandi (3-4 mila abitanti), tra una casetta e l'altra, è facile trovare la scritta Internet ed alcune postazioni di PC.
Sono piccole gocce in quel mare a 4000 m. di altezza, ma quanto necessarie e desiderate!
I Padri missionari lavorano in quelle terre da 35 anni. Hanno portato il pane della fede ed il pane da mangiare e con la loro operosità hanno aperto una strada ed indicato un sentiero in cui incamminarsi: il sentiero della CARITÀ'.
Ogni giorno, spesso a piedi o a dorso di mulo, dis-pensano tra i "campesinos" speranza, fiducia, solidarietà, divenendo segno sempre più tangibile di una chiesa coraggiosa, viva ed operante.
Dopo 30 giorni di su e giù per le Ande e più di 600 km. di strade sterrate, arrivò inesorabile il giorno del rientro in Italia.
Molti gli amici peruviani che vennero in aeroporto, sia a Cuzco sia a Lima, per salutarmi con tanto affetto. Alcuni abbracciandomi mi ripetevano "no te olvide que el Perù sempre te espera " ( non dimenticare che il Perù ti aspetta) e qualche lacrima rigava il loro volto.
Quali tesori, quali torrenti di fede ha riversato in me l'incontro con quella povera gente. Il mio cuore ne è stato ricolmo e solo la sua piccolezza ha posto un limite a tanta ricchezza di doni spirituali e di calore umano.
Grazie Perù, a presto!