MA IN ITALIA SI PARLA ANCORA
ITALIANO?
Di Rosalba Massari
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Sino a
qualche anno fa, l'Accademia della Crusca
(associazione di linguisti assertori della purezza della
lingua italiana) disquisiva animata-mente sull'uso del
linguaggio gergale; in Italia imperversavano i sondaggi
sul tasso di alfabetizzazione degli italiani; la Lega
rivendicava il dovere-diritto di improntare
l'insegnamento dei Padani utilizzando la lingua delle
origini comuni.
Oggi tutto è cambiato: non si sente più parla-re
dell'Accademia della Crusca (mentre la corrispondente
Accademie Française d'oltralpe tiene ancora banco), non
ci si occupa quasi più del tasso di alfabetizzazione,
bensì del livello di informatizzazione degli italiani, e
la
Lega per il momento sembra assopita.
Effetto della globalizzazione? Sicuramente. I
punti di riferimento cambiano e "analfabeta" è
considerato chi, pur sapendo leggere e
scrivere, non sa usare il computer o non conosce
l'inglese.
Nello sforzo di tenersi aggiornati snocciolando qualche
vocabolo imparato capita così di assistere a situazioni
divertenti, come nella pubblicità di un caffè di marca:
" hallo boy, ci facciamo un brunch, un lunch, un
coffee break? A me mi like".
A volte però lo scenario è più serio e non è raro
osservare persone - specie di una certa età - in
difficoltà, frastornate, quasi depresse a causa dei
termini inglesi sempre più ricorrenti di cui non si
conosce la traduzione letterale, né l'accezione più
esatta in un determinato contesto.
Può capitare ai Grandi Magazzini, all'atto del-l'acquisto
di un computer o di una macchina fotografica {driver,
scanner, link, escape, caps lock, pixel ecc.), ma
anche ascoltando il caro vecchio TG Regionale dove ormai
si sprecano i fìnancial project, gli open
space, il core business, il sit in, il
top management, le stock option e così
via.
E cosa dire della comunicazione nelle Aziende?
Sembra imperversare il concetto che si è tanto più
bravi, quante più parole inglesi si utilizzano in una
frase.
E non importa se gli accenti sono molto spesso
sbagliati, come nelle comiche di Stanlio e Ohio, o se si
fa un fritto misto tra acronimi pronunciati metà in
italiano e metà in inglese, o se chi ascolta - in gran
parte - non comprende appieno il significato del
discorso, per cui, se con la mente si sofferma anche
solo un attimo di più su una parola per meglio capirne
il senso, è bello e spacciato. Ha perso la
sincronizzazione logica con il relatore!
E addio alla comunicazione!
L'importante è mostrare, emulare, sentirsi appartenenti
ad una classe superiore, il cui comune denominatore è la
conoscenza (sic!) dell'inglese.
Ora, senza arrivare agli eccessi di certi Paesi, come la
Francia, ad esempio, dove il computer viene ancora
chiamato "elaboratore di calcolo" o come l'Iran, dove
recentemente un "editto" ha vietato l'uso di vocaboli
stranieri, per cui la pizza di napoletana memoria è
stata rinominata "pane elastico", probabilmente occorre
un minimo di riflessione su quest' uso abnorme e
superficiale di termini inglesi.
Quanto meno, per accenti e significati esatti, teniamo a
portata di mano il "Current English Dictionary"!.......
E soprattutto consideriamo il "linguaggio come lavoro e
come mercato"
(*),
vale a dire come continua, lenta, conflittuale
sedimentazione di usi e costumi comuni "prevalenti"
nell'ambito della vita sociale di una popolazione.
Per dirla con un esempio: un coffee break
italiano non sarà mai uguale ad un tea break
inglese!
(*) Pubblicazione di
Augusto Ponzio " Il linguaggio come lavoro e come
mercato".
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