Chi ha visto "Il Grande Freddo", film cult degli anni ottanta, non farà fatica a riconoscersi nel profilo dell'utente tipo di Facebook.
Il film raccontava il ritrovarsi di alcuni amici del liceo in occasione del decesso di uno di loro. Il pregio dell'opera era racchiuso nella capacità di sondare gli animi piuttosto che raccontare gli eventi: un universo di disillusioni miste a rimpianti e confuse con il superficiale benessere cui molti di loro erano approdati.
Ma del film fu colto essenzialmente l'aspetto ludico, e l'uscita nelle sale innescò un proliferare di iniziative tese a ritrovare i compagni di un tempo, del liceo soprattutto, ma anche dello sport, di un'associazione e, perché no, semplici amicizie di una stagione, per rivivere nel segno del "ti ricordi... " momenti di spensieratezza legati alla gioventù.
Facebook nasce con lo stesso dichiarato obiettivo.
E' stato creato da uno studente dell'Università di Harvard che ha avuto l'ingegnosa (e redditizia) idea di utilizzare il libro matricola dell'Università come mezzo di contatto a beneficio degli studenti. Non più la semplice lista fotografica degli iscritti pensata dall'amministrazione universitaria per facilitare l'integrazione delle matricole, ma un vero e proprio data-base da utilizzare durante e dopo il periodo di studi.
Nulla di rivoluzionario quindi, ma un'idea semplice ed ingegnosa che sfrutta le moderne tecnologie, prima tra tutte il Web, per facilitare i contatti, condividere esperienze, sviluppare relazioni interpersonali.
Una "piazza virtuale" che, nel segno dei tempi, rappresenta in un certo qual modo l'evoluzione dell'agorà, della piazza urbanistica intesa come luogo di ritrovo della collettività urbana.
Superfluo soffermarsi sul velo di tristezza che proietta l'inconsapevole solitudine di chi preferisce demandare ad una tastiera la naturale esigenza di condividere con altri, idee, progetti ed esperienze.
Ma la modernità esige di essere interpretata e compresa: il bar degli anni cinquanta o la piazza degli anni settanta non hanno ripudiato il proprio ruolo: hanno semplicemente abdicato in favore di luoghi di incontro virtuali dove la conoscenza è filtrata dal mezzo. Non capiterà così di doversi imbattere nella persona più antipatica mai incontrata che diventa poi il miglior amico, o viceversa: la prospettiva è ribaltata poiché la conoscenza virtuale, che anticipa quella fisica, richiede di presentarsi. Prima ti conosco e poi decido se puoi diventare mio amico. Niente sorprese dunque, ma anche nessuna emozione.
Chi adolescente non lo è più da tempo, si registra su Facebook per ritrovare amici d'infanzia, di scuola soprattutto. E lo strumento sicuramente facilita. La faticosa e spesso vana ricerca dei compagni mediante elenco telefonico o con il più classico passaparola, è stata sostituita grazie ad Internet da una più comoda ricerca a tavolino. Anzi non serve neanche cercare: per i più pigri basta registrarsi, inserire il proprio profilo, associare una foto (meglio se dell'epoca per evitare che l'incipiente calvizie renda difficoltoso il riconoscimento) e attendere i contatti.
Segue l'incontro. E d'improvviso tutto si ricompone. Come se i 25 anni trascorsi dall'uscita del film non fossero passati, si ripetono gli stessi rituali. Non c'è tecnologia che tenga. Ci si ritrova (quasi sempre intorno ad una tavola apparecchiata), si ride, si scherza, si rievocano i vecchi tempi. E quel povero prof, sempre lui, il più dimesso nei ricordi di oggi come nella realtà di un tempo, è il più sbeffeggiato. Mentre l'altro, l'austero e carismatico insegnante, raccoglie oggi come allora, gli improperi di chi è stato maltrattato (senza motivo, ovviamente) o di chi si è sentito discriminato. Si salvano solo la supplente di francese (dolce, bruna, occhi verdi), meta irraggiungibile della quota maschile della classe, ma in realtà santificata perché non pericolosa nei consigli di classe, e il professore di chimica (non dolce, occhi azzurri, belloccio) rimasto nei cuori solo della metà femminile della classe (perchè la metà maschile è stata quasi sempre bocciata).
Difficile che al primo incontro ne seguano altri. Ognuno ritorna alla propria vita. Quella reale. E rivaluta moglie e figli, che non fanno paragoni e non ridacchiano per i venti chili presi negli ultimi anni.
Ma Facebook è anche altro.
E' un sito dove convengono migliaia, milioni di persone. Che rappresentano inconsapevolmente un mercato. E attirano interessi. Commerciali innanzi tutto. Ed ecco che il profilo di utente diventa profilo di consumatore. Gusti e preferenze sono contesi da case produttrici di alimentari piuttosto che di elettronica o di cosmesi, che li miscelano, li elaborano, li sintetizzano nella speranza di tirar fuori il prodotto che incontri il favore del pubblico.
Poi ci sono i gruppi, cui ognuno può iscriversi per manifestare adesione o condividere un proget-to. Ma anche per esprimere dissenso. Perlopiù sono gruppi di orientamento politico, ma non mancano quelli sportivi o musicali che spesso assumono forma di veri e propri fans club. Rappresentano comunità di cui il singolo utente è parte, non protagonista. Con la voglia di esserci, di contare, di partecipare.
E le insidie nascono proprio laddove sono i numeri a fare la differenza.
La forza degli interessi è la reale minaccia alla spontaneità originaria del progetto. La tendenza a fagocitare la buona fede e a manipolare i contenuti di semplicità propri di chi vuole entrare nella piazza virtuale per cogliere un'occasione di incontro, rappresenta il limite non di Facebook ma di qualsiasi strumento che utilizza piattaforme web.
Come noto internet è essenzialmente uno strumento aperto, senza vincoli e senza filtri: ognuno può accedervi per acquisire informazioni, raccontare qualcosa, scambiare opinioni. Il massimo della democrazia possibile abbinata alla tecnologia più avanzata. Spesso si trovano notizie che i media non riportano, e in un mondo condizionato dalla comunicazione è un bene avere uno strumento che restituisce la reale immagine del paese. Un paese raccontato dal di dentro e non dai professionisti dell'informazione.
Ma, come ha dimostrato la vicenda dei gruppi inneggianti alle gesta dei mafiosi, chi è abituato a provocare e a prevaricare non può godere di diritto di cittadinanza nella libera piazza. E siccome la madre dei cretini è sempre incinta, delle regole non si può fare a meno. Non serviranno a liberarci dalle mistificazioni ma concorreranno almeno a contenere il dilagare dell'arroganza, figlia dell'ignoranza e madre della prepotenza.

Da NUOVA REALTA', periodico dell'"Associazione Bancari Cassa di Risparmio di Puglia - UBI Banca Carime" n.ro 2 - giugno 2009 - anno XV