Piazza Scala


 

    la quarta impresa del collega Claudio Santoro (Lecco) con l'inseparabile Angelo  

 

n.b.: clicca sulle immagini inserite nel testo per ingrandirle

 

 

Prima puntata

C’era la luna la mattina che Angelo e Claudio si trovarono alla Stazione di Lecco per raggiungere Milano e da lì Bologna. Non gli sembrava vero, dato che a maggio e a giugno avevano dovuto rinviare la partenza: troppo negative le previsioni meteo di una primavera bislacca come sarebbe stata catalogata quella del 2013.
A fine settembre, invece, si era aperta una finestra di bel tempo stabile che dava coraggio e fiducia ai camminatori. Anche la mail ricevuta da Paolo Sottocorona, il meteorologo di LA7, era stata di conforto: “Che l’alta pressione sia con voi!” recitava.
E allora era arrivato il momento di preparare gli zaini con la consueta pesata e la lista delle cose indispensabili (che va a finire che è sempre pesante!) e di partire.
Elena, la figlia di Claudio, era giunta al binario per salutarli e vederli salire su un treno tipico da lunedì: affollato, con la gente in piedi e due carrozze inspiegabilmente e inopportunamente chiuse e non agibili.
Il viaggio sul Frecciarossa è decisamente più confortevole, condito dallo snobismo del viaggiatore vicino che sta leggendo “El Paìs” e al quale Claudio chiede “Scusi, cosa ha fatto il Real Madrid ieri?”. L’algida riposta che riceve è: “Questo è l’inserto culturale ed io non seguo il football”.
Alle 10,20 sono nel piazzale della Stazione di Bologna, da dove ha inizio il cammino a piedi, con lo zaino che, da subito, comincia a far sentire la sua non lieve presenza.
Le strade cittadine non sono particolarmente gradite ai viandanti: troppe auto, gente che urta lo zaino, negozi, boutiques.
Ogni tanto i due chiedono a qualcuno se è la strada giusta in direzione di San Luca. La risposta che puntualmente ottengono è: “Ma ci andate a piedi o in bus? Ma guardate che è lontano!” Alla terza risposta di questo tenore si convincono che l’aspetto di due anziani con possenti zaini alle spalle deve necessariamente suscitare questo tipo di allarmismo che, in fondo in fondo, nasconde una certa apprensione sulle loro capacità di resistenza e di affrontare la salita.
Ma alla fine spunta anche Porta Saragozza, e comincia la lunga sequela dei 666 portici e i quasi quattro chilometri di strada,con la rampa intervallata con una certa regolarità da scale di otto/nove gradini che conducono al santuario. Sulla destra si intravvede la strada che sale ripidamente, mentre sulla sinistra una parete nasconde la vista. “Cosa ci sarà mai?” si chiede Claudio. La risposta gli arriva con una lapide che recita “Mistero Quinto”. Angelo sostiene:” Ma non sarà mica una metafora politica?”.
In un paio d’ore arrivano al santuario, giusto in tempo per vedere la porta del negozio dei “ricordini” che si chiude. Dopo aver fatto provvista d’acqua iniziano la discesa che porta al Parco Talon e che prosegue nel tratto di golena sulla riva destra del Reno. Non è una strada entusiasmante, con il Reno in secca, sterpaglie, sabbia, ragnatele; non esistono piazzole o posti dove poggiare lo zaino e tirare il fiato o, men che meno, sedersi un attimo.
Le merendine di Angelo (alla faccia dei grassi idrogenati) fanno la parte del pranzo e, alla fine, il tratto finisce e sbocca presso l’Oasi San Gherardo di cui non vi è traccia alcuna nella guida e nell’APP scaricata sullo smartphone. Scoprono che si tratta di una vecchia cava convertita in oasi naturalistica con la creazione di zone umide per la nascita di aree floro/faunistiche del territorio.
Non vi è traccia di segnali, come era già successo ad un bivio precedente. Con un po’ di consultazioni della guida e con le informazioni raccolte da una coppia in auto che, probabilmente, contava su una maggiore riservatezza del posto, i due affrontano un penoso tratto in asfalto sino a giungere ad un quadrivio così ricco di segnali che … non sanno che direzione prendere.
Claudio sente al cellulare il b&b di Badolo e Angelo parla con un ciclista volenteroso che si ferma a dare una mano. Dal mix delle informazioni raccolte si capisce la direzione e che l’ultimo tratto è in salita. Fa caldo e inizia il tratto di giornata quando la strada pesa, insieme allo zaino.
Ma ,dopo un lungo tratto su sterrato appare il “Nova Arbora”, insieme al barbuto Giorgio che ha dato le indicazioni al telefono; con lui c’è Donatella che con un sorriso e due birre fresche li accoglie; dopo otto ore, al primo giorno di cammino sono cose oltremodo gradite.
L’ospitalità è molto buona e il massiccio Giorgio (classe 1937) ci racconta un po’ della sua vita, ivi compresa la nascita dell’oasi naturalistica e dei laghi creati che, però, pare abbiano un fondo così sabbioso e drenante che resta difficile mantenerne un livello sufficiente, se non pompando acqua dal vicino Reno.
Con l’occasione si muniscono della nuova carta a scala 25.000 della Via degli Dei, di recentissima pubblicazione e che si rivelerà utilissima nei giorni a venire.
Ma il loro interesse va progressivamente scemando perché pensano alla doccia che li attende e, perché no, alla cena che Donatella ha promesso di preparargli. I tagliolini freschi in brodo, impreziositi dalla crosta di parmigiano ammollo, il tacchino con la verdura e la frutta fresca si rivelano all’altezza della situazione.
Angelo è ancora piuttosto tonico e si aggira per il giardino con la sigaretta e un libro da leggere che ha avuto l’ardire di riporre nello zaino. Claudio è più sfatto e attende solo l’ora di stramazzare a letto, cosa che fa nel giaciglio a due piazze che trova in camera. Sarà l’arrivo più tardivo di Angelo e il suo russare spavaldo a farlo spostare, cercando asilo nel letto singolo approntato nell’altra stanza dell’appartamento a loro assegnato.
Nonostante la dolenzia alle gambe, il silenzio di Badolo lo avvolge e, complice un’aspirina, lo fa ricadere in un sonno di piombo.

 

Fine prima puntata - continua

 

 

 

La via degli Dei (o anche Sentiero degli Dei) è un percorso escursionistico che collega le città di Bologna e Firenze, passando attraverso gli Appennini.
Il nome deriva probabilmente dai toponimi di alcuni monti attraversati, fra cui Monte Venere a Monzuno e Monte Luario a Firenzuola (con riferimento alla dea Lua, invocata dai Romani in guerra), nei pressi del passo della Futa. La via, attualmente segnata dal CAI, utilizza un percorso principalmente di crinale molto simile ai percorsi utilizzati nel Medioevo per le comunicazioni fra Bologna ed il capoluogo toscano, e ancora prima dai Romani attraverso l'antica strada militare romana Flaminia minore.
Resti del tracciato della Flaminia minore, lungo la "via degli Dei" nei pressi di Pian di Balestra, Appennino Bolognese
Il percorso, ricostruito a partire dagli anni '90, attraversa numerosi luoghi di interesse naturalistico e paesaggistico a quote intorno ai 1000 m s.l.m.. In alcuni punti i sentieri passano proprio sulle antiche pavimentazioni stradali ancora superstiti dopo 2000 anni di storia.
 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Piazza Scala - ottobre 2013