Leggo, con forte coinvolgimento personale, “Il mio
professore di lettere”, ricordato dal collega Giovanni Noera di Modena,
tratto dal suo libro “EMOZIONI”.
E’ ineludibile ed impensabile che, anche fra noi, noi non ci sia un
transfert verso qualche nostro
professore che, se una volta poteva costituire motivo per qualche tensione
riconducibile al binomio “voto-preparazione”, più tardi invece, specie alla
nostra età, si è trasformato in una sorta di desiderio “attualizzante” dei
tempi di allora, ove la vita, sicuramente più difficile di adesso, aveva un
altro sapore, sia dal punto di vista qualitativo che strettamente
sentimentale, anche verso il nostro prossimo, fra gli stessi nostri
colleghi, tanto per citare un ambiente che ci ha accompagnato,
professionalmente , chi più chi meno, per tre quarti della nostra vita.
Anch’io vorrei ricordare addirittura due dei miei professori di lettere (uno
è ancora fra noi, all’età di 92 anni e l’ho incontrato di recente all’Ateneo
di Treviso). Del primo, il professor Mario Sartorello, purtroppo deceduto
qualche anno fa, voglio ricordare che egli era un appassionato della Divina
Commedia. Quando la commentava, si estraniava talmente da questo mondo,
tanto che tutti noi, suoi allievi, mi pare di terza ragioneria, potevamo
trasformare la classe in un baccanale tanto che il prof. Sartorello, non
solo non vedeva ciò che facevamo, ma nemmeno sentiva i tanti decibel che
caratterizzavano in quel momento il frastuono in classe.
Dico subito che volevamo bene a questo professore, ma che a questo bene non
corrispondeva certo, in termini di etica, la nostra effervescenza di
studenti. Infatti un giorno, abbiamo pensato di fargli uno scherzo
simil-goliardico. Abbiamo legato una cordicella alla sua cattedra e
l’abbiamo fatta scorrere fino ai nostri banchi. Perché ? Lo spiego subito.
Man mano che il Prof. Sartorello leggeva e commentava la Divina Commedia,
assumendo un’espressione simil-mistica, autoalimentando una sorta di catarsi
volta al trascendente, noi tiravamo la predetta cordicella tanto da
trascinare la cattedra verso i nostri banchi, mentre il professore,
automaticamente, senza accorgersene (tanto era immerso nella lettura
dantesca) si assestava la sedia…inseguendo la cattedra che si allontanava.
Alla fine ci fu un botto: si ruppe la corda e la cattedra scivolò giù dalla
piccola altana su cui era sistemata, tanto che tutti dovemmo ritornare alla
realtà, ridendo come matti. “Ora ci sospende tutti”, abbiamo pensato.
Invece, il nostro professore, si mise a ridere e ci etichettò così: “
Sciocchini…”, ed eravamo già a metà ragioneria.
Come si fa a dimenticare quel periodo scolastico ?
Ed ora vengo al secondo professore, il prof. Vittorio Ciaccia, 92 anni
suonati, che ho incontrato proprio di recente, dopo più di mezzo
secolo all’Università di Treviso per un convegno culturale.
Dopo i convenevoli dovuti in una circostanza della specie, gli chiesi :
“Come va ?” Risposta: “ Sono molto amareggiato perché, questa mattina, mi
hanno bocciato in sede di rinnovo della patente di guida in quanto, con il
torcicollo che ho, non riuscivo bene a fare la marcia indietro”. E poi, come
non bastasse, quando sono rientrato a casa, mia moglie mi ha chiesto : “
Allora, come è andata, ti hanno rinnovato la patente ?” Quando le ho detto
che mi avevano bocciato, anziché consolarmi, mia moglie ha così chiosato : “
I gà fato ben, te gà squasi sento ani” ” che tradotto dal dialetto
trevigiano, vuol dire : “Hanno fatto bene, hai quasi cento anni…”
Che dire della sua amarezza? Non dipenderà dal fatto che di solito è il
professore che boccia e non viceversa…
Auguri su altri fronti al Prof. Ciaccia che, insieme con il Prof. Sartorello, nella loro veste di veri educatori, hanno impresso un segno indelebile
nella mia vita.
Arnaldo De Porti - maggio 2011
Piazza Scala - Maggio 2011