Economia: che farà Tremonti?

 

 

E’ questa l’alternativa discussa in questi giorni nell’ambito della maggioranza di governo sull’eventuale riduzione del carico fiscale al fine di dare un segnale positivo e cercar di far ripartire la crescita nel nostro paese, ormai fermo o quasi da molti anni.
La tesi dei “coraggiosi” rappresentata in primis dal premier Berlusconi e sostenuta da Maroni e dalla Lega dopo la batosta elettorale del maggio scorso, è che diminuendo le tasse si otterrebbe il doppio risultato di smuovere l’economia e in particolare i consumi e incoraggiare gli evasori a fare il loro dovere. A tasse più basse, secondo loro, corrisponderebbe in definitiva una minore evasione fiscale.
I “prudenti”, fra i quali in prima linea il Ministro dell’Economia Tremonti, la Banca d’Italia, la maggior parte degli economisti, incluso il “nostro” Pierluigi Magnaschi – del quale ho apprezzato gli interventi recenti a “La 7” - sostengono invece che non c’è margine per una riduzione delle tasse adesso, dati i vincoli europei, l’elevatissimo debito pubblico, il deficit di bilancio che ci siamo solennemente impegnati ad azzerare entro il 2013, l’esempio disastroso di paesi come la Grecia, il Portogallo, l’Irlanda, tutti sull’orlo di un “default” che si cerca disperatamente, in Europa, di scongiurare.
Chi ha letto qualche mio precedente intervento, sa che io condivido tale atteggiamento prudente e devo dare atto al ministro Tremonti, del quale in passato non ho apprezzato le politiche e gli atteggiamenti, di aver resistito finora alle sollecitazioni di maggiore spesa da parte dei suoi stessi colleghi di maggioranza.
Tremonti ha avuto il vantaggio di aver a che fare, nel pieno della crisi, con un sistema bancario sostanzialmente solido, a differenza di quanto è avvenuto in altri paesi, fra i quali la Germania, la Gran Bretagna, gli Stati Uniti, anche se ha dovuto accettare un certo aumento dell’indebitamento, che ora raggiunge il 120% del PIL, ma è riuscito a convincere i nostri partner europei che l’Italia stava imboccando la strada di un sia pur lento e faticoso risanamento finanziario.
Da tenere presente che, a parte la Grecia, gli altri, ai quali va aggiunta la Spagna, hanno un debito molto inferiore al nostro e i mercati finanziari – dai quali tutti dipendiamo per collocare i nostri titoli – dopo averli declassati e quindi costretti a pagare interessi molto più alti, guardano con occhio molto vigile all’andamento delle politiche di risanamento in corso o programmate. Inutile dire che anche i nostri conti sono sotto stretta osservazione e basterebbe un nulla per farci cadere nel gruppo dei cosiddetti PIGS (Portogallo,Irlanda,Grecia,Spagna). Basterebbe l’aumento di un punto percentuale dei tassi d’interesse per farci aumentare la bolletta annuale di qualcosa come 9 miliardi di Euro. Un primo allarme, è noto, è già arrivato con il recente limitato declassamento del nostro rating da parte di Standard and Poor, la maggiore agenzia di rating internazionale.
Ridurre le tasse in via preventiva, senza la copertura di altre entrate, attualmente, significherebbe offrire il fianco, da subito, a giudizi negativi dei mercati che invece si aspettano una politica di rigore e un serio piano di riduzione del debito pubblico in tempi e con mezzi certi, preceduto, ovviamente dall’azzeramento del deficit.
Ridurre la spesa pubblica? Si fa presto a dirlo, non a farlo e nemmeno a indicare le voci che andrebbero tagliate. Si provi a dare un’occhiata, su Internet, al Bilancio dello Stato e si metta un occhio sulla lunga lista delle poste e si dica chiaramente, accantonando per un attimo il timore di perdere voti, che cosa tagliare. Gli stipendi dei dipendenti? Sono già bassi. Il loro numero? Siamo disposti a rallentare ulteriormente la macchina pubblica? Le pensioni? La grandissima maggioranza è quasi da fame. Quelle più elevate (e sono poche), salvo eccezioni rilevanti per certi manager e per i nostri parlamentari, sono il frutto di contributi versati su conti individuali nel corso della vita di lavoro e sarebbe un esproprio ridurle. Piuttosto, sarebbe ormai doveroso un certo differimento selettivo dell’età pensionabile. Le Forze Armate e quelle di sicurezza? Sono già al minimo per un paese impegnato da accordi internazionali come il nostro, mentre le forze di polizia e la magistratura mancano di mezzi. La sanità? Forse servirebbe a ridurre rapidamente il numero di noi anziani sopravvissuti anche troppo e magari taglierebbe anche un po’ l’aspettativa di vita degli altri.
Non dico che non sia possibile sforbiciare qua e là in modo selettivo, ma non c’è un gran margine di manovra. Lo dimostra anche il fatto che nessun governo, né da noi né all’estero, è mai riuscito a incidere sensibilmente sulla spesa pubblica.
Giuste le ricette di chi auspica la razionalizzazione dei servizi, il potenziamento delle università e della ricerca, il miglioramento dell’accoglienza turistica, l’incentivazione delle nuove imprese (le “start up” descritte da Edoardo Narducci su queste colonne), una seria semplificazione della giustizia, qualche nuova “lenzuolata” liberalizzatrice alla Bersani, lo smantellamento di gabbie corporative, nessun ostacolo agli investimenti stranieri, com’è successo recentemente in diverse occasioni. Misure che non costerebbero troppo o sarebbero a costo zero.
Resta poi l’iniziativa più importante, più cruciale e doverosa: una lotta convinta all’evasione fiscale, un cancro che costringe una parte dei cittadini a pagare di più. Con i mezzi informatici ora a disposizione non mi sembra poi così difficile. Basterebbero controlli bancari più incisivi e monitoraggi delle spese. Qualche domanda a chi denuncia un reddito di 20-30.000 Euro e si compra una casa da 500.000 Euro o una macchina da 100.000 Euro non sarebbe doverosa?

Giacomo Morandi - 15 maggio 2011


 

 

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