IL CONTRASTO DI CIULLO D’ALCAMO di Peppe Russo

La lingua italiana è nata a Trapani! Calma, calma, non alzate le mani; volevo solo fare una battuta a effetto per presentare un mio conterraneo: Ciullo o Cielo d’Alcamo e la sua, forse, unica poesia. Ciullo (presunto diminutivo di Vincenzullo) o Cielo da Cheli (Michele) poi toscanizzato in Cielo, nacque nel XIII secolo ad Alcamo, una cittadina in provincia di Trapani.

 Di lui si sa poco o niente e quel poco riviene unicamente dal testo della sua poesia (che potrebbe anche essere -come già detto- la sola opera di Ciullo). Di certo è che la sua poesia fu elaborata tra il 1231 e il 1250, come potremo in seguito verificare dall’esame della stessa.

Certamente la scuola siciliana (della quale il nostro Ciullo fa sicuramente parte) vanta il primato di avere scritto per prima in volgare italiano; seppe superare quello stile che apprezzava molto il popolaresco e immergersi in temi più interiori e intellettuali che preludono quello che fu poi il dolce stilnovo; e la frase poetica rosa fresca aulentissima ch’apari inver la state / le donne ti disiano pulzell’e maritate può benissimo anticipare quella che poi sarà universalmente nota come la lingua di Dante e di Petrarca.

Non per niente, Dante Alighieri, nel suo de vulgari eloquentia, cita Ciullo D’Alcamo (pur senza mai nominarlo), tra i precursori della nascente lingua italiana (ciò, in certo qual modo, giustifica la dichiarazione iniziale), mentre attribuisce allo stesso Ciullo D’Alcamo il verso peggiore della produzione poetica siciliana: “tràgemi d’este focora, se teste a bolontate”  è il verso incriminato. Da notare che Dante chiama siciliana tutta la produzione poetica che precede quella toscana, giacché le migliori poesie erano solitamente presentate alla corte di vari sovrani e, per il fatto stesso che la corte avesse sede in Sicilia, tutto quanto prodotto fu detto siciliano.

La poesia, trentadue strofe di cinque versi, scritta sotto forma di contrasto, in dialetto meridionale con prevalenza del siciliano - però ampiamente influenzata dal linguaggio continentale - è tale da poter fare affermare che il poeta fosse un uomo di vasta cultura, esperto nelle tecniche della metrica e dotato di vere qualità artistiche. La stessa ci presenta il dialogo tra un uomo e una donna, durante il quale l’uomo fa le sue proposte amorose che la donna rifiuta categoricamente, fino a quando, convinta dall’insistenza dell’uomo, si arrende e si concede. Nel dialogo i due personaggi vantano ricchezze e alti lignaggi, ma alla fine ognuno svela quelle che effettivamente sono le comuni umili origini. Sembra anche che, secondo le consuetudini del periodo, la poesia fosse stata scritta per essere poi rappresentata a corte. E, in effetti, l’opera ha una trama, un filo logico che inizia con le profferte amorose del cavaliere e il rifiuto della donna; continua con gli argomenti che la donna stessa porta avanti per confermare il suo rifiuto: lui non ha tante ricchezze per poterla conquistare, che preferisce morire o farsi monaca piuttosto che darsi all’uomo, lo invita a cercare una donna più bella e, infine, quale ultima ratio, a richiederla per moglie ai suoi genitori. Lo spasimante ribatte colpo su colpo agli argomenti della donna; e qui notiamo l’uso di un linguaggio figurativo che fa riferimento non proprio velato al sesso, sia da parte dell’uomo che della castellana: il poeta ricorre a metafore di tipo sessuale (: “la bolta sottana”, il “manganiello”, “lo frutto, lo quale stao ne lo jardino”). Infine la ragazza ribatte che se nessun cavaliere più ricco di lui ha colto di quel frutto, meno che mai potrà lui, un povero “canzoneri”. E poi la capitolazione; vista l’inefficacia di tutti i suoi argomenti per negarsi al pretendente, quali l’ulteriore minaccia di ricorrere ai fratelli, la richiesta che lui giuri il suo amore sul vangelo o quella di suicidarsi buttandosi a mare, cede totalmente:     A lo letto ne gimo a la bon'ora,   ché chissa cosa n'è data in ventura.

Nota dell'autore:
Il busto inserito è posizionato in una villa pubblica a Palermo. Ad Alcamo, invece, si discute da anni per la collocazione di una statua a Ciullo d'Alcamo; tutte le amministrazioni che si sono succedute (di qualsiasi colore politico) non hanno mai trovato l'accordo necessario. Il Rotary, o un'altra associazione simile, ha dato anni fa mandato ad uno scultore locale di costruirne una a proprie spese (dell'associazione). La statua da oltre vent'anni c'è, ma non si conosce il luogo dove è stata collocata ( della statua infatti si è perduta la traccia; pare che sia finita presso una biblioteca privata). E dire che ad Alcamo la piazza Ciullo d'Alcamo può benissimo ricevere, date le dimensioni della stessa, una statua al suo cittadino più noto.
P.R.


La poesia (che suddividiamo in 4 pagine da otto strofe con commenti e traduzione dal volgare all'italiano)
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le prime otto strofe
dalla nona alla sedicesima
dalla diciassettesima alla ventiquattresima
dalla venticinquesima alla trentaduesima



 
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Piazza Scala - marzo 2011