Erano passate da poco le undici della sera quando in quell’ottobre di guerra  giunsi a Venezia. Buio ovunque per l’oscuramento imposto come difesa dagli attacchi aerei. Solo qualche lampada azzurrata qui e là ed un silenzio gravido di minaccia.

Uscii dalla stazione e mi trovai sul piazzale di fronte al Canal Grande. Il buio , quella tristezza di cui era intrisa l’aria umida che mi avvolgeva come un sudario avevano trasformato la gioia dell’arrivo,sognata per mesi ,in angoscia.

Avevo ottenuta una licenza per un esame all’Università. Cercavo di farne quanti più potevo compatibilmente con il tempo libero per la preparazione lasciatomi dal servizio militare. Il mio futuro era ancora più buio di quella sera sul piazzale della stazione. La sola luce di miei vent’anni era Cinzia. Vinsi l’angoscia pensando a lei: l’indomani l’avrei rivista.

Mi inoltrai verso Lista di Spagna  ove si trovava l’albergo. Incontrai rarissimi frettolosi passanti .Come un conforto mi giunse l’odore salmastro della laguna e lo sciabordio di un remo di una invisibile gondola. Entrai in albergo come in un rifugio mentre dalla vicina stazione mi raggiungeva il fischio di una locomotiva in manovra che lacerò il silenzio come un commiato da quello stato d’animo. La luce dentro l’albergo mi diede una forte emozione ed assaporai la gioia dell’arrivo.

Il giorno dopo uscii presto. Una fata dovette avere avuto pietà perché sembrava fosse avvenuto un miracolo. Il sole aveva  fatto giustizia dei fantasmi della notte e la laguna era un allegro sfavillio mentre i vaporetti avevano ripreso a navigare i canali.

Cinzia mi attendeva sul ponticello adiacente l’Università. Appena ci scorgemmo ci salutammo da lontano con ampi gesti delle mani. Quando fummo vicini ci assalì un imprevedibile imbarazzo. Superato quel momento demmo libero sfogo alla felicità di essere insieme. .

L’avevo incontrata pochi mesi prima. In primavera. La guerra non aveva ancora apportato le distruzioni e i lutti che, dopo di allora erano seguiti.

Ci eravamo incontrati verso sera all’Università ove entrambi ci eravamo recati per informarci degli orari degli esami. Da un banale scambio di informazioni aveva preso avvio un colloquio sempre più avvincente sempre più attratti.

Stemmo insieme il più a lungo possibile. Quando partii ci scambiammo la promessa  di vederci il più presto possibile.Ed eccoci al nostro secondo incontro. Nei mesi di separazione avevamo trasferiti nelle lettere i sentimenti che erano sfociati nell’amore epistolarmente dichiarato.La felicità dell’abbraccio ci fece obliare per un momento la consapevolezza che il nostro avvenire era divenuto ancora più incerto. Non ne parlammo ma entrambi agimmo di conseguenza determinandoci a vivere le ore a nostra disposizione il più intensamente possibile. Erano seguiti momenti di euforica speranza ed altri di malinconia. E le ore fuggivano via troppo velocemente.

La sera cenammo in una trattoria a metà strada fra il mio albergo ed il suo. Un ambiente adatto per quell’ultima sera per il silenzio e le luci soffuse. Stemmo insieme fino a tardi. Il più possibile. Il distacco era ormai imminente.

La mattina dopo Cinzia mi raggiunse alla stazione per un ultimo saluto. Lei sarebbe rimasta ancora un paio di giorni per gli esami.

Fu una separazione  difficile. Io sapevo che da lì a pochi giorni mi avrebbero inviato in Grecia a combattere. Un segreto militare che non potevo rivelare.

Quando la strinsi a me prima di salire sul vagone un pensiero mi attraversò la mente : “tornerò?”.”Ti rivedrò ancora?”

Asciugavo le sue lagrime mentre lei mi diceva parole che non avrei dimenticate mai. Sembrava presagisse la verità: “ tu parti ma io continuo a portarti dentro di me . Ci sarai sempre”.

Momenti tremendi e di contrasto: si vorrebbe che il segnale di partenza fosse dato il più tardi possibile ed al tempo stesso si desidera essere già nell’attesa proiettati nel progetto di un nuovo incontro.

Il tormento ebbe termine e ne cominciò un altro col segnale di partenza.

Continuai a guardarla dal finestrino come se volessi fissare l’ultimo fotogramma di quella visita a Venezia.

Una settimana dopo fui spedito al fronte. Una partenza improvvisa in anticipo sulle date ipotizzate.

Tre lunghi e difficili anni mi attendevano. Anche il conforto della corrispondenza ebbe termine quando ferito fui prigioniero in un ospedale militare del nemico.

Giunse il giorno del rimpatrio. Credevo che la vita mi avrebbe ricompensato. Un sorta di risarcimento.

Invece  mi attendeva una  tremenda esperienza . Compresi che  si può soffrire di più che in guerra

Appena ritenni di essere presentabile telefonai. Col cuore in gola , balbettando per l’emozione. Una conversazione telefonica di pochissimi minuti aveva radicalmente mutato i miei sentimenti e stravolto le aspettative. Alla fine di quei pochi minuti , l’amore era stato sostituito da delusione, amarezza e rabbia.

“Chi parla?”

“Sono Sandro vorrei parlare con Cinzia”. Amai quagli attimi di attesa e di emozione irrepetibili in una vita sola.

Poi la risposta:

“Io sono la mamma Cinzia non abita più qui”

“Dove è andata?”

Sentii l’imbarazzo e forse la pena della brava signora .

“Cinzia si è sposata . La prego la lasci  in pace ne ha passate tante. Ha sofferto molto”

Rimasi come fulminato. L’alta tensione mi aveva immobilizzato.

Credetti di odiare il mondo.

Dopo circa un mese di tumulti interiori  e di  rancori in via di esplosione, decisi di rivederla. Forse nella inconscia ricerca di rassegnazione o  di un qualsiasi equilibrio , una capacità di ricostruzione .

Mi procurai l’indirizzo e partii per Alessandria.

Mi appostai dinanzi alla sua casa. Non dovetti aspettare tanto. Nella tarda mattina la vidi uscire spingendo una carrozzella.

La scrutai. Cercai di imprimermi nella memoria la sua nuova immagine. Era cambiata. La sua chioma un tempo di un nero corvino presentava larghe strisce bianche.

Mi sovvennero le parole di sua madre “ne ha passate tante”.

Certo anche lei ha avuto la sua guerra. Tutti l’hanno sofferta. Sentii senza una spiegazione  razionale che il balsamo   della rassegnazione era in arrivo.

Allora provai pietà per lei e per me e trovai la forza  in nome dell’amore perduto di rivolgerle un muto augurio.

La seguii con lo sguardo fin che potei, fin quando svoltò l’angolo e sparì dalla mia vista. E dalla mia vita.   

 

Giovanni Noera
 

 

 

 

Giovanni Noera - Laureatosi all'Università di Torino, deve la sua formazione culturale ai tanti incontri avuti nelle sue varie residenze. Numerosi sono i suoi viaggi negli USA e in Europa, oggetto di suoi articoli. Nato in Sicilia; ha vissuto in Friuli, Trentino, Lombardia e Liguria. Da diversi anni vive in Emilia.
Ha pubblicato tre romanzi:
- «Tempi perduti e ritrovati» (1° premio concorso    letterario    "La
   Vecchia Lizza a Marina di    Carrara");
- «Per caso per sempre» (2° premio... Marina di    Carrara);
- «Son tornate a frinir le cicale»; (Delta 3  edizioni).
Il romanzo «C'e una logica nel destino?» è arrivato 2°al premio letterario «L'inedito». I racconti presenti in Emozioni hanno ricevuto il 1°premio - XII°edizione concorso letterario «Padus Amoneus» a Parma). Ha collaborato con alcuni periodici.

 

 

 

 

 

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