Raffaele Mattioli morì il 17 luglio 1973, a Roma. Aveva lasciato la carica di Presidente della Comit nell’Aprile del 1972 dopo 47 anni dedicati alla Banca Commerciale Italiana. Si occupava ora della sua casa editrice Ricciardi, ed in particolare di un libro sul “manzoniano” Don Ferrante, ma la tristezza di aver lasciato la Banca e la malattia galoppante, che si era acuita durante l’inverno precedente favorita anche dalla “sindrome del pensionato”, avevano aggravato la sua già precaria condizione cardiaca. La salma venne traslata a Milano e i funerali si celebrarono il successivo 30 luglio, nella vicina chiesa di S. Fedele.

I gesuiti di S. Fedele e anche la curia milanese (arcivescovo il cardinale Colombo) avevano manifestato qualche dubbio sull’opportunità di funerali religiosi, ricordando il laicismo del banchiere, ma poi tutto si era svolto in un’atmosfera di sobria e commossa devozione.

La vicenda della sepoltura è invece molto interessante nella sua singolarità ed attesta la personalità del tutto particolare di Raffaele Mattioli.

Bernardo Crippa, autorevole dirigente della Comit ed anche personaggio della politica milanese, fervente cattolico e esponente democristiano, era, negli anni ’60, assessore del Comune di Milano con giurisdizione sullo stato civile e, quindi, sui cimiteri.

Egli racconta, così come riferito da Giancarlo Galli nel libro “Mattioli – Il Gattopardo della Banca Commerciali Italiana”, che Mattioli, con il tono burbero che gli era consueto, gli disse un giorno, tornando da un funerale cui avevano entrambi partecipato: “poiché sei assessore, devi cominciare a pensare alla mia tomba, che voglio in un certo posto”. Crippa rimase perplesso, perché sapeva che la famiglia Mattioli aveva una tomba al Monumentale, ove era sepolta la nipotina Ricciarda, figlia di Maurizio, scomparsa in tenerissima età.

Ma Mattioli, che possedeva sempre idee precise e definitive, aveva individuato il luogo: un posto al cimitero dell’abbazia di Chiaravalle dei monaci cistercensi di San Bernardo. “Mi piace la terra umida della bassa milanese, i filari di pioppi. Inoltre, è vicina a San Giuliano, dove ho conosciuto la Lucia”. In fondo, don Raffaele era un sentimentale e si lasciava affascinare dai simboli.

Racconta sempre Crippa: “Cominciammo ad andare a visitare l’abbazia e conversare con i monaci. Mattioli usava spesso il latino; la sua erudizione era immensa e colpiva. Innanzi a quella che era stata un tempo la tomba di Guglielmina di Boemia, disse che quello era il suo posto”.

Guglielmina di Boemia era stata una delle protagoniste del cristianesimo medievale del XII secolo. Femminista ante litteram, predicava, a quell’epoca: “chi ha detto che Dio è maschio?”. Si era stabilita a Milano nel 1271 e vi morì circa dieci anni dopo. Fu sepolta con gran pompa a Chiaravalle e la sua tomba divenne immediatamente centro di un culto acceso, alimentato dai suoi seguaci, chiamati Guglielmiti, fra i quali erano particolarmente attivi il sacerdote Andrea Saramita e una monaca degli Umiliati, suor Manfreda da Pirovano. Ad essi furono ben presto attribuite idee eretiche, come ritenere Guglielmina l’incarnazione dello Spirito Santo.

Ovviamente l’inquisizione non tardò a farsi viva e i membri della setta furono mandati al rogo. Fu distrutta la tomba di Guglielmina e la santa fu trasformata in eretica.

Ritornando a Mattioli, non fu difficile per lui conquistare le simpatie dei monaci. Oltre alle generose offerte, la Banca Commerciale intraprese il progetto dell’edizione dell’Opera Omnia di San Bernardo, in dieci volumi, con il testo latino revisionato e corretto in una nuova versione critica e a fronte la prima traduzione integrale italiana di tutti i testi bernardiani. Un lavoro di vasto respiro, portato avanti da un gruppo internazionale di studiosi che, mettendo a frutto un secolo di ricerche, costituisce la base di partenza per ogni indagine su San Bernardo.

C’erano però da risolvere i problemi burocratici. Il cimitero di Chiaravalle, un giardinetto sul retro dell’abbazia difeso da un muro in cotto, era sconsacrato dai tempi della Repubblica Cisalpina e non esistevano procedure che ne consentissero la riapertura.

Sollecitato dal suo Presidente, Bernardo Crippa portò la delibera in Consiglio Comunale che non poté che approvarla: Mattioli, al momento dell’ingresso dei socialisti nella nuova giunta di centro-sinistra (sindaco Aniasi), aveva sopperito con le finanze della Comit al taglio dei crediti operato dalla Cariplo del cattolico e conservatore professor Giordano dell’Amore.

Ma è dalla Prefettura e, in particolare dal Medico Provinciale, che arrivarono le difficoltà; cogliendo l’occasione della morte di un monaco, il medico diede il consenso e il cimitero fu riaperto, ma solo per gli ospiti dell’abbazia. Vista però la riluttanza di Mattioli a farsi frate, fu trovata, d’intesa con il Priore, la formula che il cimitero avrebbe ospitato monaci e “benefattori”.

Nel frattempo Manzù aveva dato mano al monumento funebre, opera che ora è stata riportata all’interno dell’abbazia, per sottrarla alle intemperie.

Così, quando sopraggiunse la morte, tutto era pronto da tempo. Nella primavera del 1974, poco meno di un anno dopo i funerali, finalmente Raffaele Mattioli trovò la pace eterna, lui laico, sul luogo che aveva ospitato secoli prima le spoglie di una presunta eretica.

Exurrexi et adhuc sum tecum. La scritta è riportata sulla base del monumento, un angelo  di marmo di Carrara scolpito da Manzù.

In ricordo dell’affetto che Mattioli portò a questo luogo, vent’anni dopo la Banca Commerciale Italiana intervenne per salvare il complesso monastico claravallense dai danni causati dall’inclemenza del tempo, che aveva compromesso, soprattutto nella chiesa abbaziale, la statica di importanti strutture, la sopravvivenza degli storici affreschi e la conservazione di altre importanti opere d’arte.

Con la collaborazione della Sovrintendenza ai Beni ambientali e architettonici si è provveduto, negli anni ’90, al restauro conservativo e alla messa in ordine di strutture trascurate nel corso di secoli.

E’ stato restaurato anche l’organo sei-settecentesco, uno strumento a trasmissione meccanica, di scuola lombarda, riposto in un’importante cassa armonica d’ispirazione classicheggiante, con dipinti seicenteschi sulle ante di chiusura e con cantoria lignea settecentesca.

Sempre con il contributo della Comit, nel gennaio del 1993 è stata pubblicata da Electa la monografia “Chiaravalle. Arte e Storia di un’abbazia cistercense”, la pubblicazione al momento più completa sugli ottocento anni di esistenza di questo centro religioso e dei suoi nessi con il più vasto contesto della vocazione monastica e della realtà storica circostante.

 

(Domenico Pizzi)

 

  Presentiamo alcuni scatti fotografici dell'abbazia (Domenico Pizzi, 2007)
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Piazza Scala - settembre 2012