Le vicende storiche
e i valori artistico-architettonici
ne fanno un insigne monumento.
Ma è anche un centro di spiritualità tuttora vivo
L’
ordine monastico cistercense sorse in Francia nel 1098, quando
Roberto, abate di Molesne, non riuscendo a riportare all’osservanza
della Regola benedettina l’abbazia da lui fondata nel 1075, se ne
allontanò insieme con il priore Alberico, il sottopriore Stefano
Harding e 21 monaci, per fondare un nuovo monastero a Citeaux.
Alla base del gesto
di Roberto e degli altri monaci c’era il desiderio di condurre una
vita più austera di lavoro e preghiera secondo lo spirito della
severa Regola di S. Benedetto, conformemente ad altri movimenti
religiosi che nello stesso periodo predi cavano il rifiuto delle
ricchezze, il rilancio del lavoro manuale e la ricerca di una vita
di povertà e di ascesi.
Tornato dopo 18
mesi Roberto a Molesne, gli altri monaci rimasero nel nuovo
monastero sotto la guida dapprima di Alberico, che ottenne da papa
Pasquale II l’approvazione di Citeaux, e dopo la sua morte (1108) di
Stefano Harding.
L’ingresso nella
comunità di Chiaravalle di Bernardo (il futuro Santo), accompagnato
da altri trenta nobili francesi, diede impulso alla nuova fondazione
d i Citeaux, così che di lì a poco la prima abbazia risultò
insufficiente ad accogliere tutti coloro che desideravano entrarvi:
nello spazio di due anni sorsero le prime quattro filiazioni di
Citeaux: La Ferté, Ponti gny, Clairvaux fondata da S. Bernardo, e
Morimond. Da queste prime cinque abbazie ebbero origine oltre 700
monasteri.
Alla rapida
diffusione dell’ordine contribuì in modo determinante Bernardo,
primo abate di Clairvaux. Nato nel 1090 a Fontaine le Dijon,
Bernardo entrò nell’ordine cistercense nel 1112 a Citeaux, nel 1115
fondò l’abbazia di Clairvaux di cui divenne abate a soli 25 anni.
Scrittore di temi ascetici e spirituali e vigoroso uomo d’azione,
egli occupò un ruolo di primo piano nella vita religiosa e politica
della sua epoca di cui divenne una figura dominante.
L’ordine monastico
cistercense fu approvato nel 1119 da papa Callisto II. La povertà ed
il rigore di vita da esso praticati portarono alla formulazione di
un architettura ispirata a principi di grande semplicità. Le prime
abbazie furono infatti di modeste proporzioni, con interni privi di
pitture e sculture ma non certo di un sapiente equilibrio di masse.
Elemento
architettonico base è il chiostro, attorno al quale gravitano i
luoghi della vita comunitaria; la chiesa è disposta sul lato Nord,
nel lato Est è collocato l’edificio del capitolo vicino alla
sacrestia ed alla chiesa, sopra il capitolo sono i dormitori. Nel
lato meridionale del chiostro è posto il refettorio fiancheggiato
dalle cucine, quello occidentale è sede dei fratelli conversi;
attorno sorgono granai e di-spense e le costruzioni necessarie alle
attività agricole.
La fondazione di Chiaravalle
milanese
Il complesso
abbaziale, la cui costruzione ebbe inizio nel 1135, vide la
consacrazione della sua chiesa nel 1221. La torre tiburio venne
costruita ed affrescata nel XIV secolo, e con il passare del tempo
l’abbazia si arricchì di opere artistiche.
I Cistercensi
furono benemeriti per opere di bonifica ed irrigazione e i milanesi
si dimostrarono generosi con loro offrendo gioielli, denari e poderi
all’abbazia. La saggia conduzione dei campi da parte dei monaci
contribuì ad accrescere la prosperità e la rinomanza di Chiaravalle,
che ebbe fra l’altro l’onore di dare ospitalità a personaggi
illustri quali Beatrice d’Este, Carlo V, Francesco I, i papi Giulio
II e Clemente VII.
Nel 1798 La
Repubblica Cisalpina instaurata in Italia da Napoleone Bonaparte
cacciò i monaci. In quell’occasione i beni del monastero furono
messi all’asta. Iniziò una lenta decadenza del complesso monastico,
finché nel 1894 l’Ufficio Regionale per la Conservazione dei
Monumenti dette mano a un restauro generale proseguito da allora
fino ai giorni nostri.
Dal 1952, per
interessamento del car dinaie Schuster, vi sono tornati i monaci
Cistercensi.
L’ingresso dell’abbazia e la chiesa
L’abbazia ci
accoglie con un maestoso portone d’ingresso che si apre sopra la
torre robusta fatta costruire dal Cardinale Giuliano della Rovere,
commendatario nel 1500, per volontà di Luigi XII, re di Francia.
Entriamo in un piazzale che si allarga davanti alla chiesa; a
sinistra è una cappella dedicata a S. Bernardo, costruzione
quattrocentesca lombarda riservata alle donne che non avevano
l’accesso alla chiesa abbaziale. Di contro si allunga un edificio
che serviva da foresteria, iniziato al principio del secolo
XV, nel quale si trova la chiesetta, recentemente restaurata,
dedicata an ch’essa a S. Bernardo, costruita nel 1762 per sostituire
la precedente La facciata della chiesa ha la forma tradizionale a
capanna di scarso lancio verticale ed è preceduta da un portico
barocco del 1625, la cui parte superiore fu abbattuta nel 1926 con
recupero della bifora e del rosone centrale. Il bel portale
d’ingresso duecentesco, di gusto decisamente francese, ha un
archivolto a tutto sesto ed una forte strombatura costituita da una
fuga di esili colonne con zoccoli ben pronunciati e capitelli
uncinati. battenti di legno del secolo XVI portano nei riquadri
quattro Santi scol¬piti a rilievo (Roberto, Alberico, Stefano
Harding e Bernardo). A lato lo stemma dell’abbazia, costituito da
una cicogna con mitra e pastorale.
La chiesa
dell’abbazia, dedicata come tutte quelle dell’ordine a Maria
Vergine, ha sempre suscitato un particolare interesse negli
studiosi, sia per la sua felice ubicazione sia per il notevole
valore storico-artistico che essa riveste. Secondo storici insigni,
tale chiesa sarebbe una seconda costruzione, elevata probabilmente
nel XIII secolo a sostituzione di un primo edificio iniziato subito
dopo la fondazione. Altri studiosi ritengono invece l’attuale
costruzione nel suo impianto generale l’unica avvenuta, iniziata
subito dopo la fondazione e protrattasi lentamente nei secoli.
Unità di misura
della chiesa è la campata, costituita da una base quasi quadrata che
diviene in alzato un cubo.
La navata centrale
è divisa in quattro campate, coperte da volte a crociera costolonate,
a cui corrispondono otto campate rettangolari nelle laterali,
coperte da volte a crociera lisce. Una quinta campata, più piccola
delle altre, costituisce il presbiterio al di là della zona
d’incrocio, mentre due campate rettangolari formano i bracci del
transetto. Commentando l’architettura della chiesa nel suo complesso
la prof. Romanini afferma che “siamo alla presenza di un momento di
intensa ricerca formale che ha tutte le caratteristiche di un
giovane linguaggio in formazione in cui la confluenza e
l’accostamento di suggerimenti molteplici si verifica quale fenomeno
marginale, restando al contrario unico vero problema un’estrema
semplificazione planimetrica, strutturale e decorativa”.
Gli affreschi dei Fiamminghini e il
coro del Garavaglia
Durante il periodo
barocco la navata principale ed il transetto furono rivestiti di
affreschi raffiguranti personaggi eminenti dell’ordine, momenti
della vita cistercense ed episodi della sua storia.
Ne furono autori i
fratelli Giovanni Battista (1561-1627) e Giovanni Mauro (1575-1640)
della Rovere, detti i Fiamminghini perché il loro padre era nato
ad Anversa. Allievi del Procaccini, ed influenzati da altri artisti
quali il Cerano ed il Morazzone, i Fiamminghini traducono nella
loro produzione, ricca di colori e contrasti drammatici, il clima
religioso e sociale del Seicento lombardo e le direttive del
Concilio Tridentino, che aveva ribadito la legittimità della
venerazione delle sacre immagini contro la posizione protestante e
promosso tutte le forme artistiche come mezzo di comunicazione della
coscienza religiosa e degli articoli di fede.
In generale la
produzione pittorica dei Fiamminghini è caratterizzata da maestosi
sfondi architettonici o naturali dentro i quali si muovono i
personaggi, ritratti con particolari realistici e raggruppati per
masse.
Particolarmente
intensa fu l’attività dei Fiamminghini a Chiaravalle. Nella
controfacciata della chiesa i pittori commemorano con un grande
affresco la fondazione dell’abbazia; e ai lati in basso dipinsero i
ritratti di due maestosi cardinali cistercensi. Sui grossi piloni
rotondi della navata principale furono affrescati in doppia fila
alcuni santi ed abati dell’ordine: ogni figura reca il nome del
personaggio ed un breve motto che lo caratterizza. Degli stessi
pittori sono pure i grandi affreschi che sovrastano il coro ligneo:
a sinistra S. Bernardo vede gli Angeli annotare in diverso modo il
grado di fervore dei monaci salmodianti, a destra i Cistercensi
cantanti l’inno Te Deum laudamus al quale una serie di Angeli
musicanti risponde Te Dominum confitemur. Agli stessi pittori
vanno attribuiti gli affreschi del transetto. Il lato Nord è
dedicato ai martiri dell’ordine e rappresenta tra l’altro:
l’uccisione di S. Tommaso Becket, arcivescovo di Canterbury,
assassinato nei 1170 per ordine di Enrico II, e il martirio di S.
Bernardo di Poblet; grandi scenografie architettoniche fanno da
sfondo a! massacro delle monache cistercensi a Vittavia ed alla
strage dei monaci del monastero di Oliva. Sulla parete a cui si
appoggia la scala i fratelli Fiamminghini hanno raffigurato il
grande albero genealogico dell’ordine. Dal corpo di S. Benedetto
semisdraiato nasce un possente cedro che ospita sugli enormi rami
papi, arcivescovi, santi e beati dell’ordine ih un complesso di
grande effetto decorativo. Sui rami dell’albero è intrecciato un
motto latino che si traduce: “Il germe del Cistercio si
moltiplicherà come il cedro del Libano”.
Nella quarta
campata della navata centrale è situato il prezioso coro di legno,
uno dei più interessanti lavori di intaglio dell’arte lombarda del
XVII secolo, <opera di Carlo Garavaglia, autore di altri capolavori
di Milano. È costituito da due file parallele di stalli, ognuna su
due piani: la fila superiore è divisa in 22 scomparti, quella
inferiore in 17 per ciascun lato. Gli stalli posteriori
costituiscono una vera parete architettonica e sono suddivisi da
lesene con figure di puttini in funzione di cariatidi.
I 44 pannelli del
piano superiore raffigurano in bassorilievo episodi della vita di S.
Bernardo, di cui costituiscono una delle più avvincenti biografie.
Sono celebri per l’incisività dei disegni, dove figurano maestose
architetture e paesaggi naturali, nei quali si muovono i personaggi
che hanno accompagnato la vicenda terrena di S. Bernardo.
L’altare al centro
del coro è costituito da un cassone rettangolare sul quale poggiava
il grande leggio che sosteneva i corali per gli uffici. Rimosso
all’epoca della soppressione del monastero, è stato in seguito
ricollocato al suo posto.
Gli affreschi del tiburio
Nel quadrato posto
all’incrocio tra la navata centrale ed il transetto, subito sotto il
tamburo ottagonale della cupola, alla quale si raccorda con
archetti concentrici in misura crescente verso l’alto, vi sono una
serie di affreschi che illustrano alcuni avvenimenti della vita
della Madonna tratti dai Vangeli apocrifi.
Nella parete Est,
sopra i! presbiterio, è raffigurata la Vergine incoronata da
Cristo. E’ l’immagine più importante del ciclo pittorico ed è
stata deliberatamente posta rasi punto più visibile dato che la
chiesa è dedicata, come tutti i templi cistercensi, alla Madre di
Cristo assunta in cielo. Racchiusi entro un ovale, che ne sottolinea
la centralità e l’importanza, stanno le figure maestose di Cristo e
della Madonna: le linee sinuose dei drappeggi, le armonie dei colori
prevalentemente chiari e l’attento studio delle due figure
conferiscono all’affresco una notevole incisività.
Nella parete
meridionale è stata raffigurata l’Annunciazione a Maria della sua
prossima Transitio (secondo i Vangeli apocrifi infatti
L’Arcangelo Gabriele sarebbe apparso a Maria pochi giorni prima
della sua Transitio per prepararla), entro un riquadro
architettonico un Angelo con una palma in mano si inginocchia
davanti alla Vergine raccolta in preghiera. A destra e a sinistra
alcune figure imponenti di Angeli e Santi fanno da contorno alla
scena. Nella parete Nord è stata affrescata la Transitio o
Dormitio di Maria ed in quella Ovest il Trasporto del
corpo.
Se la datazione
degli affreschi è fatta risalire alla prima metà del XIV secolo, più
complesso è il problema della paternità del ciclo pittorico della
Vergine. Tra i maggiori studiosi degli affreschi, il Longhi ha
rilevato notevoli affinità tra i dipinti di Chiaravalle e gli
affreschi del Camposanto di Pisa; il Coletti parla di un toscano di
gusto seneseggiante, il Salmi di un toscano con influssi fiorentini
e senesi e l’Arslan suggerisce un gruppo di pittori della scuola
giottesca lombarda. Il problema resta aperto per la molteplicità
degli elementi presenti nella cultura artistica padana dell’epoca.
L’altar maggiore e La Resurrezione
di Manzù
Nel presbiterio,
che è nell’ultima campata dell’asse principale della chiesa, si
trova l’altar maggiore, barocco, realizzato nel 1689. Nel restauro
del 1954 l’architetto Bernasconi ha messo in evidenza la semplice
mensa trecentesca che poggia su colonnine di marmo rosso di Verona.
Sulla destra è la
cattedra abbaziale, fine lavoro di intarsio del Gottardo, eseguito
nel 1576, che raffigura negli scomparti dei postergali la Madonna
del latte tra S. Benedetto e S. Bernardo.
Sulla parete di
fondo del transetto di sinistra vi è la grande statua di marmo
bianco dello scultore contemporaneo Giacomo Manzù. E un omaggio a
Raffaele Mattioli, sepolto nel vicino cimitero conventuale. La
statua, imponente, è in marmo di Carrara e raffigura l’Angelo della
Resurrezione; è un’opera incisiva che si impone per la bellezza
ieratica del volto e l’accurato panneggio che la avvolge; alla base
della statua è scolpita la frase liturgica Exsurrexi et adhuc sum
tecum (Sono risorto e sono ancora con te). L’imponente statua
evidenzia le caratteristiche stilistiche del maestro bergamasco,
così riassunte da Rossana Bossaglia: “Questo pullulare di
suggestioni formali e interpretative, ricco di sensualità e
vibrazioni sentimentali, si fonde con la sicura volontà
semplificatrice e stilizzatrice di quello che chiamiamo il gusto
moderno — il senso della compattezza formale, la continuità
ininterrotta della linea, il rifiuto del descrittivismo — per darci
capolavori assoluti.”
Le sei cappelle del Transetto e la
Madonna del Luini
Ai due lati del
presbiterio si aprono sei cappelle secondo lo schema cistercense.
Risalenti alla
costruzione originaria, furono completamente rifatte nella seconda
metà del XVI secolo con nuo¬ve decorazioni. Delle tre cappelle a
sinistra, la prima è dedicata a S. Maria
Maddalena ed ha una
bella pala d’altare con la Crocefissione, dei fratelli Campi, autori
anche degli affreschi che ornano le pareti. La seconda cappella è
dedicata a S. Stefano protomartire e la pregevole pala d’altare che
ospita ne rappresenta il martirio. La terza è dedicata ai misteri
del Rosario, che appunto vi sono raffigurati.
Anche sul lato
destro del transetto si aprono tre cappelle: la prima è dedicata a
S. Bernardo ed ha una pala d’altare del pittore contemporaneo
Adriano Ambrosioni; la seconda aveva come pala il celebre Cristo
alla colonna del Bramante, trasportato a Brera nel 1915;
l’ultima cappella è dedicata a S. Benedetto ed ha tre pregevoli
affreschi del XVIII secolo relativi alla vita del Santo.
Sulla parete del
pianerottolo, al termine della scala che dal transetto destro
portava al dormitorio dei monaci, Bernardino Luini affrescò nel 1512
la “Madonna della buona notte” (così chiamata perché posta
presso l’accesso del dormitorio dei monaci), una delle sue prime
opere. L’affresco ritrae la Vergine giovane e sorridente nell’atto
di porgere il divin Figlio benedicente, ritto in piedi sulle
ginocchia della madre tra due angeli musicanti. Lo sfondo del quadro
è costituito da un paesaggio rupestre nel quale sono ritratti degli
eremiti in preghiera.
L’opera, pur
appartenendo alla produzione giovanile del pittore, mostra già le
sue caratteristiche di stile: levità di chiaroscuro, dolcezza di
colori, armonia delle figure, equilibrio della composizione.
Dal transetto di
destra si passa alla grande Sacrestia, costruita nel 1412 dall’abate
Fontana e ampliata nel 1637. E costituita di due campate, la seconda
delle quali ha terminazione esagonale. Le volte sono a crociera.
Alcuni dei monumentali armadi sono attribuiti a Carlo Garavaglia.
Chiostro, Capitolo e Refettorio
Il chiostro è il
cuore del' monastero, il centro attorno al quale gravitano gli
edifici dove si svolge la vita comunitaria. Uscendo dalla chiesa
attraverso il portale Est troviamo sulla parete che lo sovrasta un
affresco attribuito a Gaudenzio Ferrari, la Vergine in trono con
Bambino onorata dai Cistercensi, con a destra l’autoritratto del
pittore. Sulla parete di destra è raffigurato lo stemma dell’abbazia
e nella parte sottostante troviamo la famosa lapide a caratteri
semigotici che riporta le date di fondazione (1135) e della
consacrazione [1221). Del chiostro l’unico lato originario è quello
accanto alla chiesa, i lati orientale ed occidentale furono
ricostruiti con colonnine e capitelli ritrovati dopo, lunghe
ricerche, quello meridionale è una libera ricostruzione moderna con
archi a tutto sesto. Sia gli archi che le cordonature delle volte a
crociera sono in cotto, verso il centro del chiostro ciascun arco è
chiuso da un muro di mattoni, nella parte inferiore si aprono delle
trifore ad archi acuti che poggiano su belle colonnine bianche con
semplici capitelli.
Dal lato orientale
del chiostro un portale immette nel Capitolo, così chiamato perché
vi si legge ogni giorno un capitolo della Regola e dove vengono
prese le decisioni importanti; nella parete verso la sacrestia,
l’unica che ci è stata conservata, vi sono tre celebri graffiti
della fine del XV secolo che riportano il panorama di Milano
dell’epoca, con il Duomo ancora in costruzione, il Castello
Sforzesco con la torre del Filarete ed il profilo di alcune tra le
più famose chiese cittadine. Nel Capitolo sono custoditi alcuni
affreschi dei Fiamminghini che si trovavano nella chiesa prima di
essere staccati e riportati su tela; vi si conservano anche due
tondi bronzei di Lorenzo Lotto, attribuiti per un certo periodo al
Cellini.
Sul lato
meridionale del chiostro vi è il refettorio, una vasta costruzione
di cinque campate in un’unica navata, con tracce di finestre di
epoca e stile diversi.
La torre tiburio
La torre tiburio si
innalza dal suolo per oltre 50 metri,, croce compresa, invito ad una
ascesa spirituale.
Battezzata
affettuosamente dai Milanesi “Ciribiciaccola”, la ricchezza di
elementi architettonici ed il loro felice accostamento ne hanno
fatto un punto di riferimento Unico nel paesaggio, simbolo stesso
del complesso monastico.
Tra gli altri
edifici del monastero spiccano per la loro importanza l’antico
mulino medievale, unico esempio esistente nell’Italia
settentrionale, attualmente destinato a sede dello Scriptorium
Claravallense (archivio storico, biblioteca, sale di lettura),
il dormitorio dei Fratelli conversi, rimaneggiato nel XVI secolo, e
la piccola fattoria per le attività agricole
Al padre Priore
dell’abbazia abbiamo rivolto alcune domande; e qui lo ringraziamo
per la disponibilità dimostrata.
Quanti sono oggi
i membri della comunità monastica di Chiaravalle?
Nell’abbazia di Chiaravalle vi sono attualmente 21 monaci, 9 padri,
10 professi solenni, 1 professo semplice ed 1 novizio.
Quale regola
religiosa disciplina la comunità monastica? La comunità segue l’antica disciplina di S. Benedetto, che
risale al V secolo, riassunta nel motto Ora et Labora
(prega e lavora). La riforma di S. Bernardo dell’ XI secolo non ha
codificato una regola ulteriore ma ha inteso solo radicalizzare il
precetto di Benedetto, che ha informato lo sviluppo di tutta la
civiltà europea. Paolo VI riconobbe a Benedetto tale importante
ruolo evangelizzatore con il titolo di “Patrono d’Europa”.
Come si svolge
la vita dell’abbazia? A che ora si alzano i monaci e quante volte
recitano l’Ufficio comunitario?
La giornata del monaco è scandita dal canto della liturgia delle
Ore. I vari lavori e momenti della giornata sono determinati dal
settenario ciclo liturgico che, iniziando nella notte con la Veglia
di preghiera delle ore 4, continua con il canto delle Lodi mattutine
alle ore 6, la preghiera di Terza alle ore 8, quella di Sesta alle
12, Nona alle 14,30, Vespro alle 18 e Compieta alle 20. Il centro
della giornata monastica è la celebrazione eucaristica del mattino
alle ore 8.
La comunità
monastica si impegna ancora, come in passato, in attività agricole? L’attività agricola, che ha caratterizzato per diversi secoli la
riforma e la storia dell’Ordine Cistercense, è tenuta ancora in
considerazione come fattore di equilibrio psichico-fisico, come
ricerca di un contatto con la natura e come fonte di sostentamento
economico della comunità. Poiché la Regola prescrive un regime
vegetariano per l’80%, l’orto e l’azienda agricola del monastero
forniscono la mensa dei monaci.
Chiaravalle è
sede di un importante centro culturale: quali sono le più importanti
iniziative in tale settore? Lo Scriptorium Claravallense sorto da alcuni anni sta
conducendo come suo primo lavoro la monumentale impresa della
pubblicazione integrale in edizione bilingue e critica delle opere
di S. Bernardo, ìl lavoro, previsto in otto volumi, è già stato
realizzato per circa la metà. Stiamo ora preventivando l’inizio di
una nuova collana di pubblicazioni che mirano a far conoscere altri
autori cistercensi contemporanei e discepoli di Bernardo.
Qual è il
rapporto tra abbazia e città?
Come è noto i monaci non vanno in città, ed è per questo che
costruivano i loro monasteri fuori dalle mura; tuttavia constatiamo,
sia nel corso della secolare storia che nei nostri giorni, un
intenso scambio di relazioni tra monastero e città, così che si può
parlare di un “monastero per la città” e di una “città per il
monastero”. Il Cardinale Schuster, arcivescovo di Milano, richiamò
i monaci a Chiaravalle ed affidò loro tra altri incarichi il compito
di valorizzare e presentare le bellezze artistiche del monumento del
XII secolo come invito ad una elevazione dello spirito di coloro che
lo avessero visitato.
Estratto dal "NOTIZIARIO - periodico
bimestrale del Circolo per il Personale della Banca
Commerciale Italiana, Milano"
Numero 140 - dicembre 1989 - anno XXV
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