Anni 1944.
Arnaldo De Porti, 7-8 anni, alla guida del cavallo, insieme
(da sx) con
mamma e fratello minore ed una zia durante lo sfollamento in
campagna per la guerra
Vorrei esprimere lo stato d’animo di persona ormai a
cavallo fra tre generazioni, anno più anno meno, stato d’animo
certamente riconducibile all’evoluzione storico-sociale-politica,
sia nel bene che nel male, nella quale, coloro che sono nati intorno
all’anno 1935 (cito quest’anno non solo perché purtroppo mi
appartiene, ma anche per evitare… falsi storici) ricorderanno,
magari trovando anche qualche punto di contatto, con ovvie punte di
tristezza per certi versi, ma anche memori di qualche motivazione
che ci fa rimpiangere la qualità della vita di allora, e avranno
anche qualcosa da aggiungere.
Io avevo circa 10 anni quando nell’aprile del 45 finì la guerra, ma
diversi ricordi che hanno preceduto questo tragico evento, sono
ancora vivi nella mia memoria.
Ricordo i bombardamenti, i rifugi antiaerei nei quali mi portavano
quando suonavano le sirene, le tessere annonarie per avere il pane
nero contingentato, lo zucchero che veniva venduto ad etti ed
incartato su piccoli pezzi di carta color blu, i fanali di
bicicletta oscurati con la carta scura ad evitare di essere scorti
da “Pippo” (un piccolo aereo che bombardava qua e là di giorno e di
notte), lo sfollamento in campagna ad evitare il pericolo di
bombardamenti in città, le sirene che preannunciavano l’arrivo degli
aerei da bombardamento e che invitavano pertanto a guadagnare
qualche rifugio e la…fame (anche se io ero un fortunato in quanto
mio padre portava a casa dei sacchi di pane biscottato che duravano
15-20 giorni, che io – avevo allora 6-7 anni – barattavo con una
ragazza di qualche anno più della mia: io ti do due pani biscottati
e tu mi dai in cambio 4-5 pesche. Perché pesche, chi mi legge si
chiederà ? Semplicemente perché la “Negra Aio”, così chiamavano
questa ragazza, disponeva di molti campi coltivati a pesche…mentre
mio padre che lavorava al Consorzio Agrario aveva la possibilità,
invero non facile, di avere ogni tanto qualche sacco di pane
biscottato. In sintesi, io “rubavo” il pane della mia famiglia e lo
davo alla “Negra Aio” e quest’ultima, a sua volta “rubava” le
pesche della sua per darle a me, senza che nessuno sapesse niente,
formalizzando così una vera e propria contrattazione commerciale…
sicuramente molto più onesta di tante di oggi.
Dico subito che, pur essendo vissuto a cavallo della guerra, di aver
un ottimo ricordo di quegli anni. Ed il tutto si può giustificare
sinteticamente: quel poco che si riusciva ad avere era sempre bello
e buono e soprattutto accompagnato da uno spirito sincero di
fratellanza fra la gente che oggi non solo ce lo sogniamo, ma
neppure riusciremmo ad immaginare. Sarà stata la paura che ci
spingeva a questo spirito fraterno, fatto sta che, oggi come oggi,
questo positivo sentimento non esiste più. Allora non c’erano le
macchine e, quelle poche che c’erano, dovevano far i conti con le
gomme che si bucavano ad ogni piè sospinto, con la benzina che si
doveva comperare al mercato nero e che mio padre riusciva ad avere
in qualche modo dagli americani, carburante diverso rispetto a
quello del mercato nero: infatti si trattava di una benzina rossa di
colore, in assegnazione all’esercito americano, di cui ancor oggi
non conosco come mio padre faceva ad averla. Ricordo che allora,
essendo sfollati in campagna, mio padre aveva comperato una cavalla
color grigio-nero con la quale, alla domenica, si andava….fuori
porta (della stalla ovviamente) e di cui conservo una foto, che
propongo qui sotto, che mi vede alla conduzione di un calesse a
quattro posti, un vero “fuori-serie”, mentre do l’input di partenza
al cavallo con tanto di redini in mano…e cappello da uomo, all’età
di 7 anni.
Poi la guerra finì ed incominciò la ricostruzione. L’Italia era
sommersa dalle macerie, non c’erano né soldi né mezzi di
sostentamento sufficienti, tutto era contingentato, ricordo che feci
la prima comunione con le scarpe di gomma che mia madre, povera
donna, aveva cercato di colorire di bianco usando un gesso per
abbinarle al vestito ecc.ecc. Insomma i ricordi non finirebbero più.
Quello che è certo e che si richiama all’evoluzione di cui faccio
cenno all’inizio di questo Amarcord è che, ancora per diversi anni
fino al 50-60, persisteva un forte spirito di fratellanza, di
amicizia: lo stesso che aveva contraddistinto il periodo della
guerra. Vorrei quasi dire, forse forzando il paragone per rendere
meglio il pensiero, che allora si era più fratelli in tutto: l’aiuto
era reciproco e profondamente sentito da tutti, a prescindere
dall’appartenenza alla classe sociale.
Venendo ad oggi, era in cui abbiamo tutto, che dire ? Esiste forse
qualche punto di contatto con allora ? La risposta, almeno a mio
avviso, è decisamente no ! In primis, perché fortunatamente oggi
abbiamo tutto rispetto ad allora, per cui il punto di contatto con
esiste, poi perché non esiste più nella società evoluta di oggi una
qualsiasi forma di rapporto davvero sincero, tanto che non ci si
conosce nemmeno fra condomini, essendo questa una società nella
quale è venuto meno anche il gusto di vivere in quanto con il denaro
si può avere tutto senza fatica, fino ad avere la possibilità di
acquistare le persone od usarle come oggetto di scambio ed a
qualsiasi titolo: per sesso, per politica, per interessi vari
persino barattando il Vangelo di Cristo. Oggi, inoltre non si può
più programmare il futuro, perché sembra non esserci più futuro..
Una volta mettevamo da parte qualche risparmio per comperarci una
Vespa od una Lambretta, oppure una casetta, ma oggi ciò è diventato
un discorso improgrammabile.
Ma che vita è ? L’oggi com’ è ? Come sarà il futuro ?
Mi pare che la società si sia trasformata in una grande arena
politica, sociale, economica, etnica, religiosa, in cui il
sentimento collettivo si è trasformato in un optional di nessun
valore a cui si fa riferimento solo in determinate occasioni, come
matrimoni, funerali, ma anche per nascondere ingiustizie, malefatte,
orrori, discriminazioni, conflitti sociali, ecc.ecc. L’uomo oggi non
vale più come essere umano, ma come macchina correlata a quanto
produce. Tant’è che, anche fare questa affermazione, oggi significa
fare della retorica gratuita.
Ed allora ?
Io penso che, oggi come oggi, essendo stato raggiunto un tale
livello di progresso che potrebbe permetterci di non affannarci più
di tanto, sarebbe necessario riflettere sulla nostra condizione
umana che, a mio avviso, è peggiorata rispetto al periodo appena
post-bellico. Se non addirittura, per certi versi, rispetto al
periodo della guerra.
Di chi la colpa di tutto ciò ? Della politica, sì, della politica,
la quale, attraverso i suoi rappresentanti meno onesti e puliti, ha
spento da mo’ ogni senso etico, deviando senza pudore alcuno da quei
principi etici in funzione del benessere, della serenità collettiva,
per auto-costruirsi (in senso metaforico) delle “carceri dorate e
invalicabili anche dalla giustizia” allo scopo di privilegiare i
propri personali interessi a danno delle persone oneste. Non per
niente, e non mi stancherò mai di ripetere quanto diceva Indro
Montanelli, (sue stesse parole) “ il parlamento è diventato un
rifugio per mariuoli…” : i fatti delinquenziali di questi giorni che
hanno come protagonisti persino dei parlamentari, ne costituiscono
un emblematico esempio.
Ma vogliamo andar avanti ancora così o non sarebbe meglio mandare
tutti a casa, magari facendo una massiccia… lavanda gastrica a tutto
il parlamento ? Che anche con la recente manovra, ha pensato bene di
mantenere in essere i privilegi di questa casta intoccabile, a
scapito delle persone oneste e per bene ?
Gli Italiani non sono ancora stanchi o privilegiano il masochismo ?
Arnaldo De Porti - 18 luglio 2011