Piazza Scala

 

 

Esporre in dichiarazione delle false fatture mediche per ottenere la detrazione Irpef del 19 per cento non costituisce evasione fiscale ma dichiarazione infedele. E’ quanto stabilito dalla sentenza n. 2168/11 della terza sezione penale della Corte di Cassazione. Il caso riguarda una serie di frodi fiscali commesse da un contribuente che esponeva in dichiarazione fatture mediche false apparentemente emesse da cliniche private. Il Tribunale di Napoli aveva riconosciuto nei confronti del cittadino il reato di infedele dichiarazione e non di evasione fiscale, e questo perché le fatture non avevano alcun valore probatorio dal momento che si riferivano ad operazioni inesistenti ma anche perché le strutture che avrebbero emesso la documentazione erano del tutto sconosciute. La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 912 del 13 gennaio 2012, ha inoltre stabilito che costituisce reato di dichiarazione fraudolenta l’operato dell’imprenditore che “gonfia” le schede
carburante del parco auto aziendale permettendo la detrazione di un maggior costo fittizio. I giudici hanno condannato un imprenditore che aveva dichiarato in scheda un consumo di carburante superiore rispetto ai dati ufficiali forniti dall’azienda costruttrice, falsità avallata anche dall’indicazione di rifornimenti avvenuti in giorni festivi dell’impianto erogatore che, tra l’altro, non effettuava il servizio di self-service.

Ravvedimento valido con conteggi regolari

In tempi di scarsa liquidità diventa sempre più vitale l’impiego del ravvedimento operoso, strumento con il quale è possibile sanare omessi, tardivi e insufficienti versamenti fiscali. Una sorta, in pratica, di condono “no stop” entro però limitati e circoscritti termini temporali che consente appunto al contribuente di regolarizzare la propria posizione attraverso il pagamento del dovuto, maggiorato da sanzioni irrisorie unitamente al versamento degli interessi legali calcolati su base giornaliera. Occorre, tuttavia, prestare particolare attenzione nel computo di quanto va versato al Fisco, al fine di evitare la mancata adesione al ravvedimento.
Recentemente la Corte Suprema di Cassazione, sentenza 14298/2012, ha infatti stabilito che è nullo
l’utilizzo dell’istituto tributario del ravvedimento operoso se il contribuente versa meno interessi di quelli dovuti poiché, in questo caso, non opera il principio di buona fede fra Amministrazione finanziaria e cittadino sancito dalla Statuto del Contribuente. Nel caso specifico, una società aveva effettuato il ravvedimento operoso per omesso versamento Iva, ma il Fisco aveva negato il beneficio poiché erano stati versati meno interessi rispetto a quelli dovuti. Dopo il primo e il secondo grado di giudizio, i giudici hanno rigettato il ricorso dell’impresa, assegnando valore decisivo anche a una modesta somma di pochi euro di interessi non corrisposta. Secondo la Corte di Cassazione ove il contribuente commetta un errore nel conteggiare la sanzione e/o gli interessi legali il ravvedimento operoso non può ritenersi perfezionato, per cui è legittima la ripresa a tassazione delle sanzioni nella misura dovuta.

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Consulenza fiscale di Pasqualino Pontesi, Dottore commercialista.
Articolo pubblicato su “il Quotidiano della Calabria” del 6/1/2013

 

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Piazza Scala - gennaio 2013