La poesia di ottobre (a cura di Vincenzino Barone)
 

 

 

Poesia senza titolo

Era l'alba sui colli, e gli animali
ridavano alla terra i calmi occhi.
Io tornavo alla casa di mia madre.
Il treno dondolava i miei sbadigli
acerbi. E il primo vento era sull'erbe.


Altissimo e confuso, il paradiso
della mia vita non aveva ancora
volto. Ma l'ospite alla terra, nuovo,
già chiedeva l'amore, inginocchiato.


Cadeva la preghiera nella chiusa
casa entro odore di libri di scuola.
Navigavano al vespero felici
gridi di uccelli nel mio cielo d'ansia.

(Sandro Penna)


 

Non è facile proporre agli amici della nostra pagina, intendo dire quelli che coltivano l’amore per la poesia, un autore come Sandro Penna, che fece scandalo per la sua dichiarata omosessualità e mantiene ancora alla larga, anche dopo la sua scomparsa, i cantori della cultura ufficiale del paese. Si autoescludeva lui, per i démoni di passione e di erotismo che gli suscitavano inconfessabili sensi di colpa; escludeva il mondo “normale”, che non osa guardare dentro di sé ed accettare la diversità come inesplorata ricchezza di sentimenti. Parliamo di un letterato che ha delimitato in modo assoluto il proprio immaginario. Nulla, o quasi, dell’agire umano sembra rientrare nei suoi interessi. Il mondo reale, con le miserie quotidiane, non trova spazio, se non come mondo “altro” dal quale fuggire. E Penna si costruisce il recinto nel quale gli adulti, con la violenza (seppur non sempre esplicita) dei gesti  e dei comportamenti, non sollecitano la sua curiosità. C’è invece l’ingenuità, assieme all’atroce consapevolezza di essere fuori posto. E dal disagio nasce la fuga, e con la fuga la ricerca di immagini, di adolescenti da guardare in silenzio da lontano, di sublimazione degli istinti. Pur restando celato dietro i cespugli della vita, sconveniente per la morale borghese, diffidente ed appartato nel suo cono d’ombra, egualmente Penna viene annoverato, con Attilio Bertolucci e Giorgio Caproni,  tra i principali poeti della linea “antinovecentesca”, mentre declinava la poesia paludata e si affermava l’ermetismo dei capiscuola conclamati (Ungaretti, Montale). Almeno così riteneva Pier Paolo Pasolini, critico di elevato spessore, che ne apprezzava il linguaggio sommesso e descrittivo, in antitesi con quello elitario e simbolico dei grandi maestri degli anni 30 e 40. Il timbro dei versi è di una classica purezza, le sue strofe sono brevi e cantabili. L’artista, che parte da Saba, suo mentore e scopritore, sembra risalire pian piano ai crepuscolari, sin quasi  al Pascoli del fanciullino che è in noi, e che è candore della natura ove non v’è malizia. Anche se, per lo sgomento dei benpensanti, il “fanciullino” prende le sembianze talora ossessive dei versi « Sempre fanciulli nelle mie poesie!/Ma io non so parlare d’altre cose./Le altre cose son tutte noiose./Io non posso cantarvi Opere Pie.». Proprio la posizione appartata, e anche indifferente, di Sandro Penna nel panorama della poesia del Novecento, ha reso non facile il  riconoscimento del suo autentico valore e la sua fortuna è stata sempre inferiore ai suoi meriti. Una curiosità: il Roberto Vecchioni degli esordi (parliamo dell’album Samarcanda), nella bellissima canzone Blu notte, cita due suoi versi: “... però da vecchio pesa il respiro/lo vedevo giocare, lo guardavano tutti/ Quante volte ho pensato: "Basta, sto male", quante volte ho detto: "Basta, camminami avanti... Ma il fanciullo che avanti a te cammina/e non lo chiami, non sarà più quello...”. Nacque a Perugia nel 1906, visse appartato e in semipovertà, pur avendo “camminato assieme” e con lo stesso passo coi più grandi letterati italiani del 900. Aveva ottenuto un contestato Premio Viareggio nel 1957, un Premio Fiuggi nel 1970  ed un  Bagutta, che fu come un riconoscimento tardivo alla carriera, proprio pochi giorni prima della sua scomparsa, che avvenne nel 1977. Per questo mese di ottobre, con gli scampoli dell’estate che declina, presentiamo una composizione delicata, stupita, appena triste. C’è l’ansia d’amare, c’è il connesso rimpianto delle cose che potrebbero essere, ma purtroppo non sono. Come nella vita di Sandro Penna, come forse in quella di noi lettori, che consumiamo ogni giorno e ci facciamo consumare dal tempo, uccelli felici nel canto perché ignari nel volo del loro fugace destino.

 

 

 

 

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Piazza Scala - ottobre 2011