Piazza Scala

 

 

dalla newsletter n. 11 (novembre 2011) dell'Archivio Storico IntesaSanpaolo

 

 

Una volta raggiunta l’Unità nazionale, furono molte le iniziative pubbliche e private per un’espansione degli scambi e  degli affari italiani nelle variegate realtà coloniali. In questo senso, a partire dal primo decennio del Novecento, la politica economica ed industriale italiana nell’Europa balcanica e nel Mediterraneo orientale si andò via via consolidando in parallelo allo sfaldamento della dominazione ottomana.

Dopo il successo del conflitto in Libia con l’occupazione del Dodecaneso, la diplomazia italiana offrì al termine della Grande Guerra profittevoli novità per tutti gli operatori economici e finanziari. In relazione alle aspirazioni coloniali e imprenditoriali, la delegazione italiana al tavolo della pace a Parigi nel 1919 risultò molto sensibile alle pressioni esercitate dai principali esponenti del ceto industriale e bancario del Paese, che auspicavano in questo modo di reperire nuove risorse, materie prime e aprire interessanti mercati ai propri prodotti finiti.

In questo mosaico di progetti e bilanci la Banca Commerciale fu in prima linea, sia per allargare in modo capillare la propria rete a Costantinopoli e in tutto il Vicino Oriente, sia per sviluppare il proprio bacino di partecipazioni nei comparti più disparati dell’economia internazionale. Questo programma del resto era in linea con l’impostazione “mista alla tedesca” dell’istituto milanese, sempre interessato a coniugare l’attività di deposito e di credito a breve termine con quello industriale a lungo termine.

La Comit aveva del resto già notevoli interessi in Asia Minore grazie alla collaborazione dell’imprenditore Giuseppe Volpi di Misurata e delle filiazioni Società Commerciale d’Oriente e Società Commerciale Industriale e Finanziaria, amministrate da Bernardino Nogara, che riuscì a ottenere le opzioni per lo sfruttamento delle miniere di Couroudja-

Chile e di Sal Déré nel bacino di Eraclea sul Mar Nero, ricche di ottimo carbone, succedaneo del caro coke importato dal mercato britannico.

Se molti passi erano stati intrapresi su questa strada, questo scenario trovò un grosso slancio a seguito dell’impegno militare delle Regie Forze Armate, voluto dal Governo di Roma a partire dalla primavera del 1919 nel timore della concorrenza straniera in quella regione così importante sul lato economico e strategico.

Cogliendo quindi questo momento propizio, Nogara ottenne il via libera alla concessione e all’avvio degli studi per la realizzazione della costruzione ferroviaria tra Adalia e Burdur, che, nel tentativo di dare una diretta valvola di sfogo all’entroterra centromeridionale dell’Anatolia, si voleva porre in netta concorrenza con il già consolidato troncone britannico Smirne-Aidin.

Le prospettive strategiche erano molto interessanti, anche perché un tale piano avrebbe creato la rottura di quel duopolio franco-britannico che soffocava la concorrenza dell’intera linea della ferrovia per Baghdad, fiore all’occhiello dell’espansionismo imperiale europeo nel Vicino Oriente.

Se le premesse iniziali erano dalla parte di Nogara e della Comit, tuttavia la situazione apparve mutevole e soggetta a forze centrifughe impreviste. La rapida ascesa del movimento ribelle capeggiato da Mustafa Kemal interruppe quel lento e promettente lavoro di relazioni industriali e programmi finanziari.
Il consorzio italo-anglo-francese, a cui il nostro Paese partecipava attraverso la stessa Banca Commerciale, il Banco di Roma, il Credito italiano e la Banca Italiana di Sconto, vide un rapido declino quando il nuovo Governo di Angora nel 1922 nazionalizzò tutte le ferrovie turche, precludendo ogni possibile ulteriore iniziativa in proprio. Del resto anche l’attività estrattiva ad Eraclea ebbe un drastico mutamento, comportando per l’istituto milanese un ponderato riflusso di capitali.
L’atto unilaterale politico ed economico del futuro Atatürk andò quindi a investire tutti i progetti finanziari ed industriali della Comit, sin allora ben pianificati, comportando un ampio e più equo riesame degli accordi e delle iniziative, che solo nella seconda metà degli anni Venti poterono in parte rivedere la luce in Turchia.

 

Giovanni Cecini è autore del volume Il Corpo di Spedizione Italiano in Anatolia (1919-1922), Roma, Ufficio Storico Stato Maggiore dell’Esercito, 2010.

 

 

 

 

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