Piacenza si sta preparando ad un evento impegnativo e di grande impatto nazionale, mediatico e di immagine, il raduno nazionale degli alpini, corpo militare ma anche associazione con grandi ideali e scopi di solidarietà sociale, attiva nel volontariato. Non per nulla l’associazione gode di popolarità e affetto da parte dei cittadini italiani. Il cappello con la penna nera induce simpatia e rispetto.
Ho letto nei giorni scorsi un intervento del signor Daniele Novara e ne condivido in gran parte i contenuti, anche se non mi sento un pacifista ad oltranza come mi pare, forse sbaglio, lui si dichiari. Il pacifismo è un grande valore, un grande ideale, se non si perde di vista la necessità della difesa, della sicurezza, in un mondo dove non tutti sono pacifici, non tutti rispettano i diritti altrui, dove le armi e gli strumenti d’offesa e di violenza dilagano e spesso finiscono in mani sbagliate.
Le forze armate e le polizie sono purtroppo necessarie e, anche in tempo di pace, sono per di più indispensabili strumenti, rispettivamente, di politica estera e di difesa della democrazia.
Una cosa diversa, da combattere, sono peraltro il militarismo e lo stato di polizia. Militari e forze dell’ordine, come la magistratura, sono al servizio dei cittadini e della società e non devono rappresentare essi stessi un potere, al di sopra della legge. Qualche anno fa ho pubblicato un articolo dal titolo “La mia idea di patria”, una patria che si identifica con i luoghi natii, con la cultura, con la lingua, con le istituzioni democratiche, una patria che rispetti quella altrui. A mio parere gli alpini la rappresentano bene, anche quando non sono costretti a combattere e lo dimostrano, in questi giorni, le innumerevoli bandiere spontaneamente esposte alle finestre.
In proposito, non mi piace la retorica patriottarda che identifica la Patria quasi solo con le Forze Armate e quella di chi, anche sulle colonne di questo giornale, ricorda quasi solo le imprese belliche, rivelatesi sfortunate, di questi nostri soldati sbattuti lontano da casa sul suolo altrui, con armi obsolete, con scarso equipaggiamento, non a combattere per la libertà, come è stato scritto, ma ad opprimere e a sottomettere altri popoli e a soffrire con loro. Per la libertà hanno combattuto, da volontari, i tanti alpini che si sono uniti alla Resistenza, anche nella nostra provincia.
Sono passati più di settant’anni dalla tragica ritirata di Russia e dalle sofferenze sulle montagne greco-albanesi, dove migliaia di nostri giovani hanno sacrificato la loro vita obbligati a una causa sbagliata, non scelta da loro. Chi li ha mandati là, sapeva che le nostre forze armate non erano in grado di sostenere una vera guerra, molte risorse erano state disperse in Etiopia e in Spagna, l’Italia era povera di materie prime e di mezzi finanziari, ma doveva giocare alla grande potenza, voleva sfidare il mondo, il nostro dittatore voleva imitare Cesare e si era attribuito, lui ex caporale, il grado militare di Primo Maresciallo dell’Impero, mentre i nostri alpini, fanti, bersaglieri, artiglieri morivano di freddo e di stenti nelle steppe russe, o di sete e dissenteria nel deserto africano.
Giacomo Morandi - maggio 2013

 

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Giacomo ci ha inviato l'articolo che ha pubblicato su Libertà un paio di giorni prima dell'adunata a Piacenza. Il raduno, durato tre giorni, ha comportato l'invasione di oltre 400.000 alpini, in congedo o in servizio. La marcia in città è durata dalle 9 del mattino alle 9 di sera

Quasi tutto il centro storico di Piacenza era chiuso e anche parte della periferia. Anche a Rivergaro (dove Giacomo risiede) e in molti paesi della provincia ci sono state marce, concerti di bande, banchetti con panini al cotechino, e, ovviamente, il Barbera e il Gutturnio non mancavano.

La TV locale ha messo in onda una diretta durata tre giorni.
A corredo Giacomo ci ha inviato tre fotografie che pubblichiamo nello spazio sottostante: cliccate sulle miniature per ingrandirle.
Piazza Scala - 20 maggio 2013

 

 

 

 

 

 

 

 

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Piazza Scala - maggio 2013